Foto LaPresse

Governo da ridere

Giuseppe De Filippi

Diciamocelo: le risate che ci fanno fare i gialloverdi al governo valgono qualche punto di spread in più

I rari momenti di vera malinconia arrivano quando qualche responsabile, qualcuno un po’ versato nelle arti politiche, impone scelte di buon senso, magari terra terra ma non dannose o assurde, e il governo del cambiamento si accoda. All’improvviso è domenica sera di quando eravamo al liceo, tra spleen casareccio e, per fortuna, a contrastare l’umor nero, una punta di paura: ma allora potrebbero anche riuscire a governare decentemente e, Dio ne scampi, ad andare avanti combinando pure qualcosa.

 

 

Ma sono attimi, la domenica lontana sparisce subito, e si torna alla condizione di puro divertimento offerta dalla manovra del popolo e dal balcone in deficit, dalle tessere del reddito di cittadinanza in stampa, dalla querela a Luigi Calabresi (non ce ne vogliano se un ricordo dolente dà comunque spunto a una risata), dalla condanna storica a Pinochet piazzato però in Venezuela, e dal buongiorno al caro presidente Ping, e come dimenticare l’impingment, poi riassestato come impeachment, e annunciato con gravitas televisiva, come invece, con altrettanta gravitas, si comunicava alla nazione, chez Vespa, che all’indomani, di buon mattino, ci si sarebbe recati in procura a denunziare la manina cambia-decreti. E i frighi a complottare e i condizionatori disfattisti, e adesso la rivendicazione orgogliosa di buone aspettative su un albero di Natale decente a Roma al terzo tentativo, lo spread intorcinato fino a negarne la logica elementare, e tre posti di lavoro per ogni pensionato che esce. E il prof. avv. dotato di quella leggera inflessione foggiana che si chiede con retorica perché i giornali scrivino certe cose. E si ride e ci si diverte.

 

 

 

Le battute fluiscono, anche tra chi non ha l’inclinazione all’umorismo praticato: prima di chiedere perché le scrivino lei le legghi o se le facci spiegare quelle cose, gentile prof. avv. Roba facile, eh, battutismo per tutti. Con un po’ di divertimento birichino perché gli strateghi predicano affinché non li si prenda per il culo, che appunto non sarebbe una gran mossa perché li rinfocoleremmo, li faremmo chiudere nella testuggine più pazza del mondo.

 

Ma, cari strateghi, lo spettacolo vale un po’ di spread, per le risate di queste settimane tutti accetteremmo qualche decina di euro in più sul mutuo e potremmo finalmente mostrare un’analisi costi/benefici, o come già detto, un’analisi stronzi/benefici (e magari gli stronzi siamo noi), ben fatta: risate e buonumore da capitalizzare contro decrescita e sfacelo generale.

  

 

Cari strateghi, state sereni. In realtà non li si piglia per il culo, siamo persone per bene, mica siamo imitatori, mica facciamo il verso alla gente. Il lavoraccio, terribile davvero, di riprodurre e mettere in caricatura ciò che è già caricatura ministeriale lo lasciamo ai professionisti del ramo imitazioni, competenti e dalla scorza dura.

 

Li guardiamo un po’ di soppiatto, ridendo ovviamente, ma sentendoci quasi in colpa per la doppia e tripla razione, the full monty, che viene offerta alla nostra bulimia di divertimento. 

 

Troppa grazia, insomma, e d’altra parte gli stessi imitatori professionali questa volta usano l’originale, con spezzoni anche molto lunghi tratti da una storia vera al governo, e poi affiancano la loro caricatura, che in realtà ne è il contrario, realizzata togliendo il ridicolo semmai e non aggiungendo, per isolare l’elemento di comicità pura in mezzo a tante variazioni del tema originario. Tra noi non imitatori ma contemplatori vige invece un sano divertimento che affratella. Twitter ci regala ogni giorno i coming out di sinceri democratici de sinistra che lodano Renato Brunetta e di rigidi uomini di destra che apprezzano Michele Serra. Il riso abbonda sulle bocche degli attoniti oppositori. Ed è una risata sana, senza malinconie, come si diceva, senza retrogusto di vuoto, come la risata dei vincitori. Questo è un fantastico divertimento dei perdenti in cui il “lasciateci lavorare” equivale all’annuncio di tante repliche, di altre date per lo spettacolo. Non c’è malinconia perché è un ridere bambinesco, woodhousiano perché precedente all’invenzione del bene e del male e anche un po’ vanziniano, perché le parti sono fisse e i nostri eroi, ci stupiscono sì nel merito (e grazie, Ping non se lo sarebbe inventato neanche il più scanzonato e geniale facitore di cinepanettoni), ma sono canonicamente infallibili nel metodo. Cari strateghi, si possono romanizzare i barbari ma non i ridicoli. O almeno romanizzare i ridicoli non servirebbe a niente, producendo al massimo un romano ridicolo. E ci si diverte a cena, tra amici, o incontrandosi per strada. Appunto, nuovamente fratelli, felici in questa accozzaglia dei divertiti, da cui magari potrebbe perfino scaturire qualcosa di pratico, addirittura qualche realizzazione politica. Gli strateghi alla fine sono gli unici a essere privati di questo innocente piacere dello spettacolo. E invece, verrebbe da dire, pigliatela a ridere. Senza remore, senza paura, godetevi questa rivelazione continua. Il comico è fatto per sconvolgerci, rivelando cose note. Un po’ paradossale, sì, ma trattenere la risata è come trattenere gli starnuti o il singhiozzo: dicono che faccia pure male. Accettiamo invece la meravigliosa rivelazione del carattere nazionale, non issiamoci sul “piedistallo sotterraneo” (copyright Corriere della Sera, inventato per provare a portare in fondo, senza ridere, un’intervista con il prof. avv.). Divertiamoci e per ogni elettore che si fidelizzerà con la pensione del popolo altri tre elettori attivi si renderanno disponibili.

Di più su questi argomenti: