I guasti sottovalutati che produrrà il neostatalismo al governo

Redazione

Tra atteggiamento autarchico e occupazione di posti, la linea delle forze al governo appare molto chiara. E i costi che si scaricano sullo stato aumentano

Professor Sabino Cassese, il governo sembra preso in una deriva statalista.

Leggiamo le dichiarazioni. Matteo Salvini al Corriere della Sera del 19 novembre 2018: “L’importante è non cedere più infrastrutture strategiche per l’Italia a potenze e compratori stranieri”. Luigi Di Maio, sempre al Corriere, l’11 ottobre 2018: “Noi vogliamo essere promossi dai cittadini, non da altri” (cioè non dai mercati). Non vorrei trasformarmi in un esegeta di tanto pensiero, ma queste due dichiarazioni sono chiare. Le forze di governo dialogano solo con i cittadini-elettori e vogliono stendere un cordone sanitario intorno alla mano pubblica.

 

E le prove concrete?

Oltre all’atteggiamento autarchico, le posizioni in materia di concessioni, quelle sulla rete di telecomunicazione, l’occupazione di posti, realizzata tramite “inviti a dimettersi” (si veda il caso Consob e quello Anas).

 

Ma le due forze sono allineate su questo fronte?

Non completamente. Secondo valutazioni attendibili, il M5s rappresenta solo il 2 per cento del pil. La Lega una quota ben superiore. Quindi, gli interessi economici dei due elettorati divergono. Non divergono gli interessi politici dei vertici, diretti ad avere maggiori margini di manovra di quelli consentiti da politiche liberiste e privatizzatrici. C’è, poi, da considerare che la Lega deve il suo rafforzamento al fatto di aver raggiunto l’elettorato che era del Msi-An. E questa è una base nettamente orientata verso uno stato forte, forte innanzitutto in economia. Potrebbero, a un certo punto, verificarsi fratture con l’elettorato, prevalentemente del nord, di orientamento liberista. Ma per ora, sotto la direzione dell’uomo forte, le due anime convivono.

 

Come vengono “cucinate” insieme queste opposte tendenze?

Nello stesso modo in cui la politica veste di panni retorici tutti i suoi interessi. Il fascismo si scoprì corporativo e contrappose la rappresentanza degli interessi, di cui consiste il corporativismo, alla rappresentanza politica, fino a giungere alla confluenza di ambedue nella Camera che si chiamò, proprio per questa unione, “dei fasci e delle corporazioni”. L’attuale governo agita il mito della democrazia diretta, anche questo destinato a confluire accanto alla democrazia rappresentativa. Noti i parallelismi. Ambedue i miti agiscono sullo strumento base della democrazia, la rappresentanza. Ambedue sono destinati a realizzazioni scarse. Il corporativismo si risolse in poco. Si risolverà in poco anche la democrazia diretta. Ma intanto i miti agiscono, producono effetti, affascinano, fanno discutere, attraggono spiriti semplici, persone con bagagli culturali ristretti. Non dimentichi Manzoni: “Il popolo è dovunque buona giuria e cattivo tribunale” (in una lettera del 24 aprile 1814).

 

Quali guasti può produrre il neostatalismo?

Aumenti di costi che si scaricano sullo stato e ampliamento delle frange dello stato, con conseguenti clientele. Pensi soltanto alla rete unificata sulla quale si è lanciato il vicepresidente grillino: dovrà accollarsi il personale in esubero di Tim, cioè di una società privata. Per pagarlo, dovrà tenere alte le tariffe, che sono a carico dei gestori del servizio, i quali scaricheranno i costi sugli utenti. Tutto questo con scarsa trasparenza, perché nessuno ci dirà che fine fanno gli investimenti pubblici per cui sono state fatte gare.

 

Quali i motivi che militano contro l’ampliamento della mano pubblica?

Ne ricordo solo alcuni. Se nel settore privato è difficile oggi trovare imprenditori di vaglia, si può immaginare quel che accade nel settore pubblico. Poi, l’esperienza delle partecipazioni statali dovrebbe aver insegnato qualcosa. Nacquero come piccole entità. L’Iri era composto da poche decine di persone (ricordo quel che raccontava Pasquale Saraceno che vi aveva lavorato dall’inizio). L’Eni di Mattei era una piccolissima falange macedone. Poi, Iri e Eni si sono decuplicati in dimensioni. Una parte di questa crescita era dovuta ad accolli successivi di attività in perdita, richiesti dai governi (che nominavano ogni tre anni i vertici delle partecipazioni statali). Un’altra parte era dovuta a continue richieste governative e di partito di sistemare questo e quello. Insomma, ce n’è abbastanza per rifiutare un ampliamento della mano imprenditoriale pubblica.

Di più su questi argomenti: