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Un giorno da leghisti

Valerio Valentini

Tutto quello che la Lega vorrebbe dire su Di Maio ma non ha il coraggio di dire

Leggi l'altra parte: “Tutto quello che il M5s vorrebbe dire su Salvini ma non ha il coraggio di dire”


  

Roma. Parliamoci chiaro: a maggio 2019, alle europee, noi prenderemo il 40 per cento e i grillini il 25. E a quel punto la musica cambierà. Magari non si tornerà a votare, ma di sicuro cambieranno i rapporti di forza tra Lega e M5s. Noi siamo partiti con le migliori intenzioni, e all’inizio c’era anche una certa sintonia: ma adesso sono sfinito, non ce la faccio davvero più. E lo dico io, che pure sono uno tra quelli che fa da mediatore. Ci sono certi miei colleghi, al governo, che semplicemente li prenderebbero a ceffoni, certe volte, i grillini. E non solo perché sono ideologici, vaghi e impreparati: ma soprattutto perché sono dei nevrotici. Entrano in fibrillazione alla minima difficoltà: ti chiamano in continuazione, fanno questioni di lana caprina su delle inezie, non reggono minimamente la pressione. Non conoscono il senso del limite: si impantana la trattativa sul governo e loro chiedono l’impeachment per Sergio Mattarella; c’è tensione sui mercati e loro accusano Mario Draghi, che è l’unico che può e che deve darci una mano, di “avvelenare il clima”. Il che, diciamocelo, a noi fa anche comodo, perché in questo modo accreditano noi come unica forza responsabile. Di Maio, dopo la pagliacciata della manina da denunciare alla procura della Repubblica, non ha più alcuna credibilità istituzionale. E’ destinato a non poter più governare, se non aggrappandosi a Salvini.

   

“Lettere dei dissidenti? Se il decreto sicurezza non passa così com’è, il governo salta. Di Maio ne è consapevole?”


   

E insomma questo farebbe anche il nostro gioco. Se non fosse che però, nel frattempo, c’è da governare. E non puoi farlo se chi ti sta accanto è in stato di perenne agitazione. E tutto questo caos per non concludere nulla: perché poi, in realtà, non si riesce mai a capire cos’è che vogliano o non vogliano fare. Il decreto su Genova lo abbiamo scoperto direttamente in consiglio dei ministri, senza essere minimamente consultati. E non solo: perché quando gli abbiamo fatto notare che dentro quel provvedimento c’era troppa roba, e i tempi si sarebbero fatalmente dilatati, loro ci hanno assicurato che tutto si sarebbe risolto senza problemi, lo stesso Giuseppe Conte ci ha tenuto a precisare che lui era un uomo di legge, che l’avrebbe gestita personalmente lui. E poi sappiamo com’è andata. Il reddito di cittadinanza alla fine siamo stati noi a consigliargli come rimodularlo: inserire l’Isee come parametro di riferimento, coinvolgere le aziende private. E loro si sono inventati scuse assurde, pur di non darci ragione. E poi, ovviamente, hanno inserito l’Isee e hanno pensato di coinvolgere le aziende.

  

E poi, soprattutto, non sai mai con chi parlare: tra loro ci sono inimicizie e rivalità interne. Spesso senti dire una cosa a Fantinati e poi ti accorgi che la Businarolo, che pure è sua concittadina, la pensa all’opposto. Parli con Fraccaro e ti rassicura che la prescrizione andrà cambiata ma con tempi lunghi, il giorno dopo Bonafede se ne esce con un post che annuncia che si dovrà fare tutto e subito.

  

E in tutto questo c’è Di Maio, anima bella, che dovrebbe essere il leader ma che non riesce a metterli in riga. Ma dico: che razza di capo politico sei se stringi un accordo col tuo alleato, dai la garanzia che tutto procederà senza inciampi, e poi cominci a piantare dubbi e obiezioni in ogni dove solo perché non riesci a garantire la tenuta dei tuoi in Parlamento? Ora, è bene che se lo mettano in testa, nel M5s: se il decreto sicurezza non passa così com’è, il governo salta. Di Maio ne è consapevole? Possibile che diciannove deputati scrivano una lettera pubblica al capogruppo per opporsi a un provvedimento già approvato al Senato? Non esiste, così non si va avanti.

   

Il Giorgetti continua a ripetercelo: questi sono matti, sono inaffidabili, sono pericolosi. Ma noi ci fidiamo di Matteo, che ci dice di tenere duro ancora un po’, di non mollare proprio adesso. Però obiettivamente è sfiancante: il nostro Iezzi, dopo una settimana di trattativa in commissione Affari costituzionali su anticorruzione e sicurezza, è sull’orlo della depressione.

  

La commissione Finanze è in mano a Carla Ruocco, che con Di Maio manco ci parla. Quando deve risolvere qualche problema, lei si rivolge direttamente a Grillo. Cosicché poi il vicepremier grillino si ritrova con le mani legate. Il caso Consob è emblematico: lei ha spinto Marcello Minenna fino all’inverosimile, forse anche per un suo interesse personale. Ma i primi a non essere convinti di questo nome sembravano proprio i Cinque stelle al governo: né Di Maio né Stefano Buffagni, che per certi versi è uno dei più affidabili, all’inizio erano entusiasti. Pareva quasi che puntassero a vederselo bocciare da noi per poi giocare tutto su un altro cavallo. E anche ora che tutto sembra fatto, per Minenna, c’è Giuseppe Conte che non è che si stia dannando l’anima per sponsorizzarlo al Quirinale: pare quasi, anzi, che non aspetti altro che una bocciature da parte del capo dello stato per potere avere la scusa buona di archiviare la sua candidatura.

  

S’incaponiscono in battaglie autolesioniste, e se provi a dissuaderli ti danno del pavido. Ma puoi aprire una guerra coi tecnici del Mef, insultandoli e minacciandoli, proprio mentre hai da approvare una manovra complicatissima? Che senso ha? Descrivi i funzionari di Tria come dei pezzi di merda, e poi ti lamenti se dalla Ragioneria dello stato non arriva la bollinatura sulle coperture per le agevolazioni fiscali sul porto di Genova? Oppure antepongono le lotte ideologiche a quelle pratiche. Ti crolla un ponte, una città resta bloccata, e tu condizioni tutto il tuo operato alla volontà di tagliare fuori Autostrade? Ma quanti sono i cittadini che cominciano a votarti perché hai avviato la procedura di caducazione della concessione su un tratto dell’A10, al confronto con quelli che smettono di votarti se ci metti novanta giorni ad approvare un decreto che è per di più incompleto? Io non so bene come faccia Rixi a convivere con Toninelli: al suo posto avrei già dato di matto, io.

  


  “Vedono complotti ovunque ma non si accorgono che il guaio vero è uno: spesso non comprendono quello che vedono scritto”


  

E poi c’è un problema ancora più grave: non capiscono quello che leggono. Letteralmente. E forse è anche per questo che ogni volta, per ogni bozza di provvedimento, c’è una trafila interminabile di riletture e correzioni. Ogni tanto i vertici che precedono i consigli dei ministri vengono interrotti per permettere che arrivi chissà che parere risolutivo. Vedono complotti ovunque, inganni in ogni dove. E non si accorgono che il problema è sempre lo stesso: non comprendono quello che vedono scritto. Io, nonostante quello che mi dicevano Garavaglia e Bitonci, ho dubitato a lungo prima di arrendermi all’evidenza: e poi ho realizzato che sì, davvero Di Maio si fida a occhi chiusi di quello che gli spiega la Castelli. La Castelli, capisci? Una che a metà ottobre, parlando col presidente dell’Anci, Antonio Decaro, gli ha chiesto se fosse sicuro che i comuni italiani fossero d’accordo con lui. Una che nella sua guerra a Tria a un certo punto cominciava a dettare retroscena ai giornali amici coinvolgendo pure Garavaglia, a cui poi toccava puntualmente smentire. Massimo ha fatto l’assessore al Bilancio della Lombardia: che è come aver fatto il ministro dell’Economia del Belgio. Lei, nella vita, cos’ha fatto?

  

E poi ogni tanto ti accorgi che a dettare la linea sono i responsabili della comunicazione. Le difficoltà politiche loro le risolvono con post su Facebook o campagne su Twitter. O peggio. Perché si sono messi pure a pubblicare conversazioni firmate “Ministero dello Sviluppo”: è successo dieci giorni fa, al ritorno del viaggio di Di Maio da Shanghai, quando sul sito del Mise è comparsa un’intervista del ministero all’ambasciatore cinese in Italia. Abbiamo chiesto lumi: “La comunicazione”, ci hanno risposto. E del resto uno dei vice di Di Maio a Via Veneto, Claudio Cominardi, non riesce neppure a sintetizzare i colloqui che ha. E’ andato a parlare col presidente di Anpal, Maurizio Del Conte, per discutere della riforma dei centri per l’impiego: quando è tornato ci ha detto che non ricordava bene cosa si fossero detti perché aveva avuto un calo di zuccheri durante la chiacchierata. Poi Toninelli, poi la Lezzi: gente che perfino i colleghi di partito, ormai, isolano. Ed è con gente del genere che noi dovremmo cambiare l’Italia?

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