Camera dei Deputati (foto LaPresse)

Il M5s usa il decreto Sicurezza per regolare i conti interni

Fausto Vitali

Diciannove deputati grillini scrivono al capogruppo D'Uva: “È mancata una discussione interna su un testo che non è nel Contratto ed è in contraddizione col programma elettorale”. Ma Di Maio è perentorio: “Mi aspetto lealtà verso il governo”

Al Senato, dopo giorni di polemiche, i dissidenti sono stati cinque. Pochi per pensare di mettere in crisi il governo, ma comunque sufficienti per aprire una discussione interna al Movimento 5 stelle. Perché il decreto Sicurezza, tanto caro a Matteo Salvini, a una parte dei grillini proprio non piace. E ora che il testo è arrivato alla Camera la situazione appare già notevolmente “più calda”.

  

Anzitutto perché il presidente della Commissione che si sta occupando del tema, quella Affari costituzionali, è Giuseppe Brescia. Grillino di rito “fichiano” (nel senso di vicinanza al presidente di Montecitorio, Roberto Fico). Uno che in tempi non sospetti, come raccontato dal Foglio, prese carta e penna e scrisse al ministro dell'Interno per spiegargli che il giro di vite sui migranti era sbagliato. Lo stesso che qualche giorno fa, proprio nel pieno del caos sul decreto, sempre al Foglio dichiarava: “Al momento il testo del decreto sicurezza è blindato”. Quasi a lasciar intendere, con quel “al momento”, la possibilità che qualcosa potesse, prima o poi, cambiare. 

  

Perché a Montecitorio non c'è solo lui. Proprio oggi 19 parlamentari grillini sempre variamente considerati vicini a Fico, hanno scritto al capogruppo Francesco D'Uva per lamentare una “carenza di discussione interna” e annunciare la presentazione di otto emendamenti. A Palazzo Madama il provvedimento è passato solo grazie al voto di fiducia. Venisse modificato alla Camera dovrebbe tornare al Senato per una terza lettura e la cosa creerebbe non pochi problemi.

  

Gli alleati leghisti, a dire il vero, non sono troppo preoccupati. Dopotutto, è il ragionamento, si tratta di schermaglie interne ai Cinque stelle. Una sorta di “congresso” in cui le varie componenti cercano di contarsi. Sarà, ma tra i 19 firmatari della lettera, quasi tutti alla prima legislatura e non certo personalità di spicco del Movimento, un nome spicca più di altri. È quello di Giuseppe D'Ippolito, avvocato calabrese che nel suo curriculum vanta un rapporto piuttosto stretto con Beppe Grillo (non solo ha partecipato ai suoi spettacoli ma lo ha anche rappresentato e difeso in giudizio). Certo, sarebbe eccessivo dire che la missiva ha la benedizione del fondatore, ma comunque si tratta di un segnale.

  

“Pur coscienti del percorso che avrà il decreto Sicurezza e Immigrazione e dei tavoli di trattativa che ci sono stati sul tema in fase di elaborazione – scrivono i 19 deputati – riteniamo che il testo che arriverà alla Camera abbia molte criticità che si rifletteranno pesantemente sulla vita dei cittadini. Un testo che non trova, in molte sue parti, presenza nel Contratto di governo ed è, in parte, in contraddizione col programma elettorale del Movimento 5 stelle. Siamo perfettamente a conoscenza di come questo decreto sia essenziale per la Lega e non è nostra intenzione complicare i già delicati equilibri di governo; non per questo però riteniamo di non dover esercitare il nostro diritto di parlamentari e di non lasciare una traccia chiara e precisa di quale sia la posizione del Movimento 5 stelle su questo provvedimento. Non ci arroghiamo il diritto di essere la voce del Movimento, sia chiaro. Ci sarebbe però piaciuto confrontarci in tempi e modi adeguati affinché una posizione condivisa emergesse. Purtroppo rileviamo una carenza di discussione interna che in molte sedi, anche ufficiali, tanti di noi hanno espresso”.

  

Insomma più una lettera di denuncia che una reale forma di dissidenza. Anche perché, mentre Uva, rispondendo ai firmatari, spiega che “il testo è stato già migliorato al Senato e presto sarà approvato anche alla Camera” e che “è prassi consolidata tra noi portavoce confrontarsi”, Luigi Di Maio è perentorio: “Il decreto sicurezza è alla sua seconda lettura. Il Parlamento è sovrano, ma come governo auspichiamo che sia approvato in ultima lettura alla Camera. Andare oltre significherebbe farlo decadere. Mi aspetto lealtà verso il governo”.