Un'immagine della marcia dei 40 mila

La scintilla tra i sindacati per una nuova marcia dei 40 mila

Salvatore Merlo

Tav e Terzo Valico. Cgil e Confindustria si trovano insieme contro l’immobilismo del governo. Buon segno

Roma. Dicono che un fatto politico, prima di erompere, sia avvertibile come una scarica elettrica: è nell’aria. E infatti prima è cominciato uno show di cautele, delicatezze, tossettine, piedi di piombo, piccoli segnali allarmati, perché persino un grande e in fondo ben disposto imprenditore come Francesco Gaetano Caltagirone, che ha simpatia per Matteo Salvini, dopo aver visto la manovra, il reddito di cittadinanza e il decreto dignità di Luigi Di Maio, pare avesse allargato le braccia, sconfortato, con parole che suonavano all’incirca così: “Il deficit si poteva anche aumentare, ma per fare un grande piano d’investimenti pubblici capaci di rilanciare l’economia e il pil, non per la spesa corrente”. E contemporaneamente anche il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, con toni e cadenze improvvisamente calanti o crescenti, da oboe, ha manifestato allarme e preoccupazione, spinto dall’ala più produttiva dell’organizzazione, dai lombardi e dai veneti, da quel Matteo Zoppas che diceva: “Non si può escludere che imprenditori e sindacati scendano in piazza insieme”. Così, mentre il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli annuncia l’intenzione di bloccare anche la Tav, ecco che questo disordine degli industriali si condensa in propositi sempre meno indeterminati, segnalando una frattura tra la Confindustria dell’economia produttiva e quella dell’economia assistita, ma anche insospettabili orizzonti in conflitto nel sindacato e nella Cgil.

 

 

 

Da una parte il lavoro e un’idea di modernità e sviluppo, dall’altra tutte le vecchie rivendicazioni e tutte le proteste di destra e di sinistra improvvisamente proiettate al governo: no al mercato, no alla globalizzazione, no al libero scambio, no alla concorrenza, no alle infrastrutture, in nome della patria, della campagna, dei formaggi, del salame e del vino… “Ci metteremo d’accordo con la Francia per non fare la Tav”, ha infatti detto ieri Toninelli. “Mi risulta che Macron abbia escluso la Tav dalle priorità infrastrutturali proprio dopo aver valutato costi e benefici”, ha aggiunto il ministro, come se gallerie e treni veloci si facessero per calcolo ragionieristico e non per ridurre le distanze, per sconvolgere l’arretratezza, per accelerare e parificare, come invece gli hanno subito risposto gli industriali di Milano, di Genova e di Torino. “Rimettere in discussione Tav e Terzo Valico è un colpo mortale alle possibilità di sviluppo del nord-ovest, delle sue imprese, dei suoi occupati, della possibilità di realizzare una migliore coesione sociale”, hanno detto i tre presidenti regionali delle associazioni di Confindustria, Carlo Bonomi, Dario Gallina e Giovanni Mondini. E questo mentre la Cgil di Torino, ieri durante il congresso, ha approvato un ordine del giorno contro la Tav che smentisce le parole del segretario confederale Vincenzo Colla, segnalando così la spaccatura nel sindacato, lì dove anche il segretario generale degli edili Cgil, Alessandro Genovesi, dice: “Bloccare la Tav e le grandi opere produrrebbe un danno grave al paese”.

 

E allora sempre più, pur nel disordine, quello che prima era un coro a mezza voce, a bocca storta, un lamento intermittente che si condensava intorno alla manovra economica, adesso sfocia in propositi meno imprecisi. Tanto che qualcuno, forse in preda a un eccesso suggestivo, evoca una nuova marcia dei quarantamila, quando cioè negli anni Ottanta, a Torino, scattò la rivolta contro l’egualitarismo di matrice sindacale che aveva messo in ginocchio la Fiat e gran parte delle imprese italiane. Industriali e lavoratori, o meglio una parte degli industriali e dei lavoratori, insieme, in piazza. Dalla marcia dei quarantamila scaturì una sconfitta storica del massimalismo, una svolta importante: la legittimazione del profitto e la rivalutazione della ricchezza dopo un decennio di pauperismo. Possibile, oggi? Contro il governo, o forse contro una parte di esso, cioè i cinque stelle?

 

Il sindacato è in bilico tra un’ipotesi di collateralismo nei confronti del M5s, rappresentata da Maurizio Landini candidato alla segreteria della Cgil, e istanze invece riformiste rese ora forse più coraggiose dal pericolo disperante di una nuova recessione. Anche Confindustria è sospesa, in un conflitto parallelo a quello del sindacato: da una parte l’ala parastatale che – pur soffrendo – deve rispondere all’azionista di governo, dall’altra le aziende private, la parte più dinamica, produttiva, ma forse meno rappresentativa negli equilibri interni dell’associazione. In mezzo le stime di crescita, lo stallo del pil, l’angoscia per la paralisi nelle grandi opere e negli investimenti, e l’idea che in fondo la Tav, l’alta velocità, vada fatta per non smarrirsi nello spazio astratto dell’ideologia, nell’Italia manicomio che vorrebbe collegare Torino e Lione con una pista ciclabile. I grandi fatti politici e sociali, come la marcia dei quarantamila, prima di erompere sono avvertibili nell’aria, come una scarica elettrica. Pare di sentirla.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.