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“Preservare la Fornero? Sarebbe da matti”. Durigon replica a Banca d'Italia

Valerio Valentini

La manovra non cambia, dice il sottosegretario leghista che sta lavorando per smantellare la riforma delle pensioni 

Roma. L’emozione, dice, è stata tanta. “Vedere Matteo Salvini e Marine Le Pen nella sede dell’Ugl, il mio ex sindacato, mi ha riempito d’orgoglio”. Ma non è durata a lungo. “Non è che non è durata, è che bisogna lavorare notte e giorno per la manovra”. E infatti è in una pausa tra una riunione e l’altra – “ma qua è tutta una riunione, ormai”, precisa lui – che Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro, trova il tempo di rispondere al telefono. “Cinque minuti, però, non di più, ché ‘sta benedetta Fornero ci sta facendo dannare”.

  

E insomma oltre alla convenienza economica, ci sarebbe allora pure il risparmio della fatica, a seguire i consigli di Banca d’Italia: che proprio ieri, infatti, ha invitato il governo grilloleghista a non modificare quella riforma. “Non diciamo scemenze”, replica, duro, Durigon. Lo dice, in realtà, il vicedirettore generale di Via Nazionale, Luigi Federico Signorini. Non proprio l’ultimo arrivato. “Sarebbe da matti: se non ci impegnassimo sul superamento della Fornero non sarebbe più una manovra coerente col nostro mandato elettorale, col nostro contratto di governo”.

  

E vale anche per il reddito di cittadinanza? “Certo. Questo è il nostro programma: nulla di nuovo rispetto a quello che avevamo promesso. La Fornero ha prodotto in Italia uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa. Superarla è un dovere, per avviare una sacrosanta staffetta generazionale”.

  

Ma l’automatismo per cui se gli anziani vanno in pensione prima i giovani trovano più offerte di lavoro non è supportato da alcuna evidenza empirica. “Al contrario: è un dato certo”. Contestato però, tra gli altri, sia da Banca d’Italia sia dalla stessa Inps. “Non basiamoci sui titoli. Vedrete che uscirà un provvedimento molto migliorato rispetto a quello che si è detto. Manderemo in pensione anticipata 400 mila persone, e prevediamo che per ogni uscita ci sarà un ricambio”. Possibile? “Sì, perché faremo in modo che i pensionati siano pensionati davvero. Che, cioè, nessuno cominci un nuovo lavoro dopo essersi ritirato: non si potrà più”. E, pure ammesso che il divieto funzioni, basterà per garantire questa staffetta? “Secondo noi sì. Ma per i dettagli, dovete aspettare ancora qualche giorno”.

 

Intanto, però, lo spread sale: ormai si attesta intorno ai 300 punti, ma il rischio che s’impenni ancora di più è concreto. “Io credo che riusciremmo a spiegare questa manovra ai mercati e ai commissari dell’Ue: faremo capire che proprio le misure che loro più temono sono in realtà una cosa diversa rispetto a quello che si dice e si scrive da giorni”.

  

Lo ripetete da quando avete approvato il Def. Ma il tempo per spiegare, per tranquillizzare, è sempre meno. Il 15 ottobre bisogna spedire la manovra a Bruxelles, il 26 ci sarà la sentenza delle agenzie di rating, con un declassamento dato per scontato. “Certo, se Juncker e Moscovici continuano con le loro affermazioni”. Dice che è colpa loro se i mercati non si fidano? “Dico solo che se le dichiarazioni di Claudio Borghi, che è un semplice deputato, valgono a influenzare i mercati, allora è evidente che altrettanto gravi sono pure quelle del presidente della Commissione e del responsabile degli Affari economici dell’Ue”. C’è solo questo? “No. C’è anche una sfiducia degli investitori legata alla confusione e all’incertezza intorno al Def”. Pure il governo contribuisce, a questa vaghezza. O no? “Io so che lavoriamo senza sosta. Ormai facciamo riunioni a Palazzo Chigi anche a tarda sera. Quando leggeranno tutta la manovra, per intero, anche i mercati si tranquillizzeranno. Ma la verità, diciamocelo, è un’altra”. E quale? “La verità è che questa manovra spaventa perché per la prima volta si mettono in campo misure coraggiose a protezione dei cittadini, e non delle lobby e dei potentati vari. Ma per l’Italia le cose in Europa le cose stanno cambiando”.

   

Nel senso che usciremo dall’euro? “Ma no, ci mancherebbe. Quell’ipotesi del resto non è neppure contemplata nel contratto di governo. Ma a maggio gli equilibri cambieranno: e l’accordo stretto ieri da Salvini e dalla Le Pen, proprio nella sede dell’Ugl, di cui sono stato dirigente per anni, serve a rafforzare questo progetto. Puntiamo a creare una rete di partiti sovranisti, non transnazionali, che sposti a destra il Ppe creando un asse conservatore e nazionalista”.

   

Il che però rischia di essere controproducente, per l’Italia. I leader europei a destra del Ppe esaltano il pareggio di bilancio, criticano gli stati indebitati, e ci riportano indietro i migranti con voli charter. “E perché, vi risulta che invece il Ppe alleato coi socialisti, in questi anni, ci abbia mai dato una mano su flessibilità e sulla redistribuzione dei migranti? Siamo stati abbandonati da tutti, ci hanno fatto ingoiare un trattato irrazionale, quello di Dublino, ci costringono al rispetto di vincoli insostenibili”. Tutte cose che pure la Lega, in passato, ha accettato e votato. “Ma ora è diverso. Ora puntiamo a sovvertire gli equilibri a Bruxelles, e imporre un nuovo paradigma per cui ognuno nel proprio paese adotta le politiche che ritiene più necessarie a seconda delle esigenze nazionali e nazionalistiche”.

  

Prima, però, c’è da superare l’iceberg dello spread e del downgrade di fine ottobre, dato da tutti per scontato. Ma è già cominciata una nuova riunione (“Ve l’ho detto che è un continuo”), e Durigon deve andare.

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