Luigi Di Maio e Danilo Toninelli (foto LaPresse)

Governo dell'assurdo

Marco Archetti

Rileggere Ionesco oggi e accorgersi di essere intrappolati nell’atto unico grillino

Interno borghese. La pendola batte diciassette colpi.

SIGNORA SMITH: “Già le nove. Abbiamo mangiato minestra, patate al lardo, insalata inglese. I ragazzi hanno bevuto acqua inglese. Abbiamo mangiato bene, questa sera. La ragione è che abitiamo nei dintorni di Londra e che il nostro nome è Smith”.

SIGNOR SMITH (fa schioccare la lingua).

SIGNORA SMITH: “Lo yoghurt è quello che ci vuole, me l’ha detto il dottor Mackenzie. E’ un bravo medico. Si può avere fiducia. Non ordina mai rimedi senza averli prima sperimentati su di sé. Prima di far operare Parker ha voluto farsi operare lui al fegato, pur non essendo assolutamente malato”.

SIGNOR SMITH: “Come si spiega che il dottore se l’è cavata mentre Parker è morto?”.

SIGNORA SMITH: “Evidentemente perché sul dottore l’operazione è riuscita mentre su Parker no”.

SIGNOR SMITH: “Un medico coscienzioso dovrebbe morire col malato, se non possono guarire assieme”.

MARY (entrando): “Io sono la cameriera. Ho passato un pomeriggio molto piacevole. Sono stata al cinema con un uomo e ho visto un film con delle donne”.

PREMIER CONTE (entrando): “Sono l’avvocato degli italiani. Quando mi dicono che siamo populisti e sovranisti, io rispondo che popolo e sovranità sono concetti espressi nell’articolo uno della Costituzione”.

LUIGI DI MAIO (entrando e subito uscendo): “Buona notte a tutti. Domani ci sveglieremo in una nuova Italia!” (frastuono di crolli).

 

Eugène Ionesco, settant’anni fa a quest’ora, non amava il teatro. Settant’anni fa a quest’ora viveva a Parigi e lavorava ancora in una piccola casa editrice. Si immaginava scrittore. Non amava il teatro perché lo trovava falso, arbitrario e ridicolo, e men che meno capiva come si potesse essere attori, cioè come un uomo potesse godere di essere un altro. Occupava il suo tempo andando al cinema, frequentando concerti e leggendo romanzi, e ipotizzare che sarebbe diventato uno dei più importanti drammaturghi del Novecento sarebbe stato davvero molto difficile. Addirittura impossibile se ci fossimo trovati nei panni di quel libraio che gli vendette “L’Anglais sans peine”, un manualetto di conversazione per principianti. Ma ecco cosa accadde: per imparare l’inglese, Ionesco ricopiava le frasi del manualetto su un quaderno. Poi le rileggeva. Finché un giorno, all’improvviso, si accorse che le frasi di questi fittizi Mr. e Mrs. Smith gli stavano permettendo non tanto di apprendere l’inglese-base ma, incredibilmente, verità più profonde. Quei dialoghini ovvi fino al nonsense, attraverso la simulazione di conversazioni plausibili, riuscirono a rivelargli il pozzo implausibile della realtà per ciò che era: irreale. E si mise al lavoro.

 

Settant’anni dopo, rileggere “La Cantatrice calva” e abbandonarsi alla sua gelida colata di assurdo riserva una terribile sorpresa: l’ulteriore dilatazione del paradosso. Perché è chiaro che oggi è la realtà che si ispira a Ionesco e alle sue raggelate rappresentazioni. Siamo a teatro? Sì. Siamo imprigionati nell’atto unico grillino. Siamo in scena con Di Maio e Toninelli, due mr. Smith ugualmente mancanti di logica che la mancanza di logica hanno imposto a tutti noi, scesi gioiosamente a patti col ruolo passivo di frammenti di un quadro d’insieme di crescente insensatezza, attori di una rappresentazione fatta di battute scollegate dal contesto, che ne generano altre di ancora maggior scollegamento, in un’orgia di assurdo e di trionfo definitivo del vuoto. Grado dopo grado di allontanamento dalla realtà, la realtà è diventata una scena di pupazzi che si agitano e vedono quello che non c’è, e più costruiscono i propri significati, più i significati li abbandonano – nell’ancor più assurdo plauso generale: manovra del popolo e popolo manovrato.

 

Ionesco ci mise anni per ottenere i successi che meritava. Noi possiamo solo augurarci che con questa acclamata compagine di farceur di regime accadrà quello che accadeva anche all’epoca di Ionesco, settant’anni fa, con certe commedie che la gente accorreva in massa ad applaudire: nessuno le ricorda più.

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