Luigi Di Maio e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Il governo delle ventiquattr'ore

Salvatore Merlo

Non gli si sta dietro. In un giorno il governo è capace di abolire la povertà, ripagare il debito e ridare il sorriso agli italiani

Ha le occhiaie, i capelli scarmigliati, due telefonini in mano aperti uno su Twitter e l’altro su Facebook. E’ il portavoce di un partito di centrodestra, sta all’opposizione. Sbuffa. Non ce la fa più. “Prima noi facevamo due dichiarazioni al giorno. Adesso sai quante ne devo fare? Almeno dodici. Do-di-ci! Non gli stiamo dietro a questi”.

 

E d’altra parte “questi”, cioè il governo, un giorno aboliscono la povertà, l’altro stigmatizzano le “spese immorali”, poi dicono che con il deficit “ci ripaghiamo il debito pubblico” e nell’arco di ventiquattr’ore riescono anche a “ridare il sorriso agli italiani” dichiarando pure “terroristi” i commissari dell’Unione europea. Quindi Salvini cancella le cartelle Equitalia sotto i 100.000 euro, mentre Di Maio cancella direttamente Equitalia. Salvini vuole censire i rom, mentre Di Maio vuole censire la Rai. Salvini ne spara due e Di Maio ne rilancia quattro. Quello rimpatria a parole 100.000 clandestini in un anno e l’altro offre il sogno di 780 euro per sei milioni di persone. Così facendo non soltanto guidano il gioco ai propri fini, ma addirittura dettano le nuove regole agli avversari, e sul terreno più cruciale della politica, nel suo rapporto con la realtà. Le opposizioni, afflitte anche loro dall’ansia dell’esistere, vanno infatti a sbattere come particelle subatomiche su tutti i muri mobili inventati dal governo.

 

 

Per dire, Di Maio, dopo le alluvioni al sud e i morti in Calabria, ha detto che “faremo tanti investimenti. Cercheremo di recuperare quindici anni di ritardo in qualche anno”. E avanti così, ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni del giudizio su sette. Nel Pd, la strategia, la reazione, è quella di indicare sui social tutte le incongruenze e le millimetriche distanze tra Lega e M5s. Ma è un esercizio twittarolo e passivo, alimentato esclusivamente dai vizi altrui (nonché quasi di aiuto alla maggioranza: come avere un consulente matrimoniale).

 

L’altro giorno Giorgia Meloni, la leader di FdI, allora ha provato a fare politica. Così ha proposto in commissione la nazionalizzazione della Banca d’Italia, una bandiera del grillismo. E’ finita che i Cinque stelle le hanno votato contro. “Ma non se n’è accorto nessuno perché tutti seguivano i numeri inesistenti del Def annunciati dai ministri”, racconta Meloni, anche lei con l’aria disfatta di chi è costretta a fare dai quindici ai venti tweet al giorno – e sempre più sopra le righe – per tenere una media accettabile, da inseguitrice. Pure i giornali arrancano, affannati. Non si fa in tempo a montare una pagina che subito arriva un altro petardo gialloverde, un nuovo botto, un salto nei cerchi di fuoco, un piano quinquennale, una rivoluzione definitiva. “Il governo cammina sul filo degli annunci. Ogni giorno mi chiedo se cadranno o arriveranno dall’altra parte”, dice Antonio Polito, il vicedirettore del Corriere della Sera. Poi tramonta il sole. E all’alba si ricomincia da capo, come se una mano divina avesse premuto il tasto “reset”. Altri botti, nuovi petardi. Quelli del giorno prima chi se li ricorda più? La sera del 28 settembre i ragazzi grillini si affacciano dal balcone di Palazzo Chigi. E per una settimana televisioni, quotidiani e radio sono costrette a parlare di un Documento di economia e finanza che nemmeno esiste.

 

Come in quella scena del “Lupo di Wall Street”, il film di Scorsese, quando Matthew McConaughey spiega a Leonardo DiCaprio come funzionano le cose:

- “E’ tutto un fughezi. Lo sai cosa vuol dire fughezi?”.

- “Emh, fugazi?”.

- “Fughezi, fugazi, fuguzi… E’ polvere di stelle. Non tocca terra, non è nemmeno sulla tavola degli elementi, non… non è reale per un cazzo, hai capito?”.

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.