Rocco Casalino (foto LaPresse)

L'immoral suasion è sempre esistita. Ma Casalino è uno squadrista

Maurizio Crippa

Il Whatsapp armato dell’impalatabile Casalino e la testa nascosta sotto la sabbia di magistrati e informazione

Milano. Impalatabile Rocco Casalino lo era anche ai tempi del “Grande Fratello”, che peraltro a molti sembrò La Novità, la tv senza intermediazione. Non lo era, era solo il primo rigurgito della melma che ribolliva nella pancia del paese. Sulla professione attuale di Casalino, e la politica ridotta agli spin doctor, tocca ricordare quanto scassò i cabasisi Matteo Renzi, quando esaltava il modello House of Cards. Poi smise di guardarla, ma le idee sbagliate prima o poi si pagano. Tutte. E averle sostenute in buona fede non è un’attenuante, bisogna saper scegliere in tempo: forse non saremmo arrivati a Rocco Casalino, lo squadrista. Ma ormai è il passato. Serve di più farsi qualche domanda sul presente. Non sulla forma, ma sul contenuto di un portavoce legittimato (ma da chi?) a contare più del suo datore di lavoro. E capo comunicatore del M5s, un doppio incarico ambiguo, letale.

  

  

Il punto non è se sia vero o no che “la leadership di Di Maio durerebbe mezz’ora senza Casalino”, in fondo sono fatti interni loro. Il problema di Casalino, del suo strapotere impunito, è che il portavoce della presidenza del Consiglio esercita lo squadrismo verbale traducendo in manganellate Whatsapp le idee di un governo – premier compreso, Vito Crimi compreso – che ritiene i giornali non servano, che chi non è allineato avrà il rubinetto chiuso. E che non servano i partiti, né gli apparati amministrativi dello stato. Questo pensano, e Casalino lo dice con l’impudenza di uno cresciuto nel demi-monde dei Lele Mora e dei Casaleggio. Di fronte a questo squadrismo squadernato c’è anche chi minimizza, “succedeva anche prima”. Sì, la moral suasion, e anche la immoral, è sempre esistita: ma l’esibizione manesca fa parte di un rituale diverso. E siccome la comunicazione politica ha le sue regole, la minaccia a Whatsapp armato non è contemplata. Sì, la gente ha votato i Casalinos proprio per i loro metodi, e prenderanno ancora più voti. Probabile. Il vero dramma è che tutto questo è stato già accettato, digerito.

    

E gli anticorpi delle regole, della legge? L’Ordine dei giornalisti della Lombardia ha avviato l’iter per verificare se Casalino possa essere sanzionato per il famoso file audio. Ma l’Ordine, che pure ha punito altri giornalisti per molto meno, conta come il due di picche quando si gioca a House of Cards. Dal Pd a Sallusti, qualcuno ne chiede le dimissioni. Parole. Ma la magistratura, ad esempio? Che fine hanno fatto tutti quei magistrati così reattivi ad aprire fascicoli e inviare avvisi di garanzia? Così pronti a rilevare sugli organi di stampa la notizia di reato, e a sentirsi in dovere di intervenire per l’obbligatorietà dell’azione penale? A nessuno è venuto in mente di verificare una possibile violazione dell’art. 338 del codice penale, “chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso…”? Magari finirebbe in nulla, ma dov’è finito l’eccesso di zelo di un tempo? C’è qualche mal di pancia qua e là, ma di pm d’assalto pronti a “resistere, resistere, resistere”, manco l’ombra. Il perché lo sappiamo: la maggioranza della magistratura la pensa esattamente come i Cinque stelle. E se il potere legislativo è ridotto a quel che è, se il potere giudiziario anche, che fine ha fatto il Quarto potere? Non si sono viste alzate di scudi. Né ora, né per le minacce ai giornali, né per le interviste negate, né per le richieste di trasmissioni senza contraddittorio. Niente di scandaloso, l’informazione è un’industria: Dibba fa audience, Martina fa cambiare canale. Ma l’idea – per carità, è solo un’idea – di rifiutarsi a tutto questo? Di chiudere la porta alle interviste pilotate senza contraddittorio? Di dire ai propri lettori e ascoltatori: in questo clima intimidatorio, noi vi daremo le notizie ufficiali del governo e dei partiti, ma non staremo a fare da tappeto rosso a chi calpesta le regole, anche se ha vinto le elezioni? O siamo rassegnati al portavoce-ministro della propaganda e al suo squadrismo via Whatsapp?

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"