Chiara Appendino durante la discussione su dossier olimpico di Torino in consiglio comunale (LaPresse)

Torino ha fatto Chiarachiri

David Allegranti

Occasioni perse, sindaca senza autonomia e in preda ai “non so, non sapevo” Così l’ex capitale d’Italia è finita nell’ombra dei benecomunisti a cinque stelle

Le Olimpiadi, peraltro sgradite a parte del gruppo del M5s, sono solo l’ultimo episodio di una lunga serie di occasioni perse

L’ottimismo sulla sindaca di Torino è sempre abbondato. Persino gli avversari del Pd, almeno all’inizio, notavano la possibile vicinanza di Chiara Appendino a un certo spirito delle prime Leopolde. “Poteva essere una di noi”, diceva un paio d’anni fa un renziano autorevole. E in effetti, vista la parabola, Appendino si sta rivelando proprio “una di loro”. Molto è stato scritto e detto su Virginia Raggi e il disastro politico amministrativo di una città come Roma, dove paradossalmente il compito è facile (non far peggio dei predecessori), e poco invece sul “modello Appendino”, che in teoria avrebbe dovuto essere favorito anche dal contesto: Torino non è Roma, non ne ha le dimensioni e non ha gli stessi problemi. Invece la cura del M5s torinese – sotto tutela dei benecomunisti che fanno capo al vicesindaco Guido Montanari, il “Signor No” che dice no a tutto, Tav compresa – ha fatto perdere occasioni alla città. Le Olimpiadi invernali, peraltro da sempre sgradite a parte del gruppo consiliare del partito di Beppe Grillo, sono solo l’ultimo episodio di una lunga filiera. Basti solo pensare alle manifestazioni culturali volate via negli ultimi due anni, dal Torino Jazz Festival al Fringe, la rassegna jazz nei locali e lungo i Murazzi, per non parlare di iniziative minori ma significative, come la festa per i 25 anni della Lonely Planet in Italia, pubblicata dalla casa editrice piemontese Edt, trasferita da Torino a Bergamo.

    

E dire che il “modello Appendino” era partito col botto: la vittoria era stata accompagnata dagli ambienti confindustriali

E dire che il “modello Appendino” era partito col botto, tra la vittoria accompagnata dagli ambienti confindustriali – ben contenti di “cambiare” – gli stessi dal quale proviene il padre Domenico, per decenni dirigente e poi vicepresidente di Prima Industrie, leader internazionale nei macchinari laser. Forse anche gli industriali vedevano – come quelli della Leopolda – “una di loro” in Appendino. D’altronde, come ha detto una volta Luca Ricolfi, “la borghesia italiana non ha mai avuto e non ha in mente gli interessi del paese, ma i propri. Per questo pur potendo vedere benissimo il rischio di cosa può significare una vittoria dei Cinque stelle, di fronte all’altro rischio di trovarsi spiazzata ed esclusa, giudica più grave quest’ultimo e quindi si protegge”. Ecco spiegata dunque l’improbabile infatuazione borghese per i populisti, gli stessi che – contrariamente a ciò che vogliono i ceti produttivi – sognano una società in stile “win for life”, con il reddito di cittadinanza e i centri commerciali che chiudono la domenica. Persino Sergio Chiamparino, governatore del Piemonte, s’è fatto affascinare dall’inconsapevolezza di Appendino, non a caso a Torino hanno inventato il nomignolo “Chiappendino” per definire una strana coppia politica: la sindaca del M5s e il governatore del Pd.

   

La sindaca a sua insaputa ha sempre rivendicato una certa autonomia dal Movimento, salvo scoprire che invece è stata dipendente prima dai suoi collaboratori, come l’ex capo di gabinetto Paolo Giordana, poi dal suo portavoce, infine dai parlamentari piemontesi come la sottosegretaria al Mef Laura Castelli e dai consiglieri comunali. Una dipendenza così forte che dopo i fatti di piazza San Carlo del giugno 2017, quando rimasero ferite oltre 1.500 persone la sera della finale di Champions e morì una ragazza, Appendino ha saputo solo indicare Giordana come vero responsabile dell’organizzazione della serata, in un tripudio di “non so”. “Perché fu affidato l’allestimento della piazza per la proiezione della finale di Champions League a Turismo Torino?”, le chiese il procuratore Armando Spataro in un interrogatorio. “Fu il mio capo di gabinetto a dirmi, non ricordo né dove né quando, che Turismo Torino era disponibile e interessata a organizzare questo evento”, rispose lei. Una cifra di governo, il “non so, non sapevo”. Stesso discorso sulle Olimpiadi: la responsabilità è del M5s di Roma, abbiamo appreso leggendo il colloquio sulla Stampa, che si è fatto fregare dalla Lega. “Per mesi ho combattuto una battaglia in cui credevo… Una cosa avevo chiesto. Dovevano stare attenti su questa partita. La candidatura a tre è nata come un pasticcio e così è finita”, ha detto la sindaca. “Noi a questo gioco al massacro non ci stiamo: le colpe di quanto accaduto vanno trovate a Roma e Milano, nelle sedi del Partito democratico e della Lega”, ha detto la capogruppo del M5s in Consiglio comunale Valentina Sganga.

    

  

Insomma, le responsabilità stanno sempre altrove. Tra gli ex collaboratori o negli altri partiti. E meno male che stavolta non si può accusare il ministro dell’Economia Giovanni Tria, che secondo i Cinque stelle dovrebbe assurgere al rango di bancomat privato di Luigi Di Maio.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.