Il successo dei populisti spiegato da un sondaggio
Gli italiani sono in rivolta? Che cosa si agita nel profondo del paese? La crisi economica ha provocato lo “sfarinamento” del ceto medio. L'indagine di Swg
Prima del ping pong tra Enrico Mentana e Matteo Salvini, c’è il momento dei numeri. A Milano, davanti a una nutrita platea presso la Fondazione don Gino Rigoldi, il direttore scientifico di Swg, Enzo Risso, sciorina dati e statistiche che rispondono al quesito dell’incontro promosso dalla società di sondaggi insieme a Kratesis: gli italiani sono in rivolta? Che cosa si agita nel profondo del paese? Come si spiegano le trasformazioni in atto? Perché, nel giro di un paio di anni, il Pd sembra destinato al de profundis mentre i movimenti cosiddetti “populisti” capitalizzano consenso? Sembrava tramontata l’epoca delle ideologie, e invece…
“La postmodernità si è caratterizzata per la fine delle grandi narrazioni, e trent’anni dopo ci troviamo di fronte all’insorgere di nuove narrazioni – dichiara il professor Risso che insegna Teoria e analisi delle audience all’Università la Sapienza di Roma – La prima narrazione è quella primatista che raccoglie le istanze difensive, protettive e semplificatorie che emergono dalla società. La seconda è popolo contro élite: ingloba la sfiducia verso le classi dirigenti, l’avversione per casta e corruzione, nonché la ricerca di partecipazione. La terza narrazione, che al momento non ha un canale di espressione in Italia ma è incarnata oltreoceano dal future to believe in di Bernie Sanders, esprime il desiderio di un’economia che funzioni per tutti, non solo per i ricchi”.
In Italia il leader del Carroccio Salvini ha fiutato, prima degli altri, il sentire profondo degli italiani, ne cavalca le pulsioni e oggi la Lega, da partito moribondo al 3 per cento, è diventata, secondo i sondaggi, il primo movimento con oltre il 33 per cento dei consensi. Per comprendere le trasformazioni in atto, è utile indagare le fratture sociali che si sono verificate negli ultimi anni determinando quello che lo stesso Risso non esita a definire un “cambio d’epoca”. Alle tradizionali faglie sociali (centro/periferia, stato/chiesa, città/campagna, capitale/lavoro), se ne sono aggiunte di nuove: onesti/furbi; italiani/immigrati; popolo/élite; lavoro flessibile/lavoro stabile; equità/diseguaglianza; tasse/libertà. Su queste contraddizioni M5S e Lega hanno costruito nuove narrazioni e un nuovo prodotto politico, ritenuto più seducente rispetto al partito che ha governato negli ultimi cinque anni e che è stato sempre più identificato con le élite e il mantenimento dello status quo.
Alcuni dati sono particolarmente illuminanti: se nel 2005 il 54 per cento degli italiani si sentiva incluso, oggi la quota è crollata al 32. Il numero di persone che sente di poter gestire e incidere sul proprio futuro è passata dal 51 per cento del 2005 al 26 per cento di oggi. La paura di perdere il posto di lavoro è salita dal 31 per cento del 2003 al 65 di oggi. La crisi economica ha provocato lo “sfarinamento” del ceto medio: nel 2003 quasi il 70 per cento degli italiani si sentiva parte della middle class, oggi sono il 42 per cento. Tra i fallimenti che ha decretato l’ascesa dei “primatisti” in Italia e nel mondo, c’è il cosiddetto “trickle-down”.
“Il famigerato effetto sgocciolamento non si è avverato – prosegue Risso – Secondo i teorici liberisti, il laissez faire avrebbe portato benefici anche ai ceti poveri, invece le diseguaglianze economiche si sono ampliate. La globalizzazione ha alimentato una local-sintropia, un modello esistenziale locale, caldo, protettivo e protezionistico. Le classi dirigenti sono diventate élite rapaci, fonte di delusione”. La fiducia nei sindacati, ad esempio, è passata dal 66 per cento del 2003 al 17 per cento di oggi. La Terza via blairiana è divenuta il volto politico delle élite metropolitane, le uniche in grado di cogliere i frutti della società aperta e globale. L’Unione europea, manco a dirlo, si è tramutata nel peggiore degli incubi: l’apoteosi della tecnocrazia a basso tasso democratico, il regno delle lobby contro i cittadini. Se nel 2002 il 70 per cento dell’opinione pubblica riteneva che l’Italia avrebbe tratto più vantaggi che svantaggi dall’ingresso nell’Ue, oggi la quota è calata drasticamente al 18 per cento. Più o meno la percentuale del Pd alle elezioni politiche dello scorso 4 marzo. E poi c’è lo tsunami mediatico legato all’irruzione dei social network. “Facebook e Twitter hanno ampliato le possibilità di comunicazione e autoaffermazione delle persone – conclude Risso – Oggi il rapporto tra leader e popolo è disintermediato, ognuno può dare sfogo ai propri sentimenti senza il filtro del politicamente corretto. I social hanno strutturato community of sentiment consentendo alle persone di riconoscersi con gli altri e sentirsi parte di un gruppo all’interno della multitudo”. Quelle community si sono poi fatte movimento e partito. Citofonare Palazzo Chigi.
festa dell'ottimismo