Matteo Salvini (foto LaPresse)

Non violenta ma radicale: perché serve l'obiezione

Giuliano Ferrara

Un ingombro forte per poteri che non sopportano la molestia del dissenso. Il Truce ha il 33 per cento, dicono, ma Renzi cinque anni fa aveva il 40. Poi si è visto quanto sia volatile l’opinione elettorale

Non si può né si deve sottovalutare l’obiezione. A fronte della evidente degenerazione del linguaggio pubblico e degli orientamenti di massa, che sia un ritorno agli anni Trenta come dicono alcuni o una rivolta di fine Ottocento come dice Niall Ferguson, senza escludere la tragicommedia all’italiana penosa e comica, stile anni Cinquanta, sta ben fermo lo spirito dell’obiezione e della corrispondente prassi. Obiezione di coscienza, che però è parola rettorica, non si dovrebbe abusarne (Croce), obiezione di consapevolezza, di cultura, di realismo, di tecnica e competenza, di civismo estetico e politico, anche di senso comune politico. Manfred Weber in Germania è delegato a salvare il salvabile alle elezioni europee imminenti con sfoggio inaudito di pragmatismo, a quanto pare. Credo sia la via sbagliata, preferirei una sorta di partito unico europeo franco-tedesco come nucleo al quale si aggreghino tutti i democratici liberali e tutti i socialisti democratici e i conservatori decenti in ogni paese. Ma l’obiezione resta in piedi, resterà comunque la soluzione per moltissimi e per alcun tempo. Non violenta, ma radicale e perfino brutale, come dimostra il caso del resistente anonimo alla Casa Bianca, l’obiezione può cominciare a produrre risultati dopo un paio d’anni di mattane e brillanti successi dell’impostore a Washington con le elezioni del prossimo novembre. Può essere che no, che i risultati non arrivino, e comunque presidenti rieletti dopo aver perduto la maggioranza nel Congresso e in certi casi a causa della perdita della maggioranza non sono una rarità nella storia americana. Ma in questi ventiquattro mesi obiezione e obiezioni si sono sprecate, hanno dilagato, il clima si è fatto rovente, e nelle circostanze e condizioni più difficili. Lo stesso vale per la Francia, per quante cazzate abbia fatto, per quante cose buone, per quante difficoltà debba affrontare, Macron ha ancora quattro anni di tempo per rovesciare una situazione di isolamento e di vasta incomprensione del suo progetto, che è in sé un’obiezione, la più grande e gentile e meglio profilata, in Europa.

  

La stampa fa il suo mestiere, finalmente, almeno quella che piace a me. I social media riflettono la divisione tra conformisti e obiettori, e che i conformisti siano la maggioranza, con tinte di oscenità morale, è solo il normale dipanarsi della cosa, dell’implicazione di ogni presa della parola più o meno abusiva. Certo, pullulano i falsi tribuni, i profeti di un generico sinistrese e di un bell’umanitario che sembrano fatti apposta per rinsaldare il bel risultato di anni di predicazione tronfia del buono e del bello, finiti con il trionfo del cattivo e del brutto (parlo dell’obamismo politicamente corretto, dell’antiberlusconismo, del multiculturalismo senza integrazione come in Svezia, del welfarismo che crea plaghe di pigrizia sociale e di risentimento). Ma ci sono i tecnocrati necessari agli esecutivi che segnano confini, chissà se e quanto resisteranno, si spera in forma non anonima e con metodi rappresentabili in pubblico, rivendicati e firmati. Si scoveranno burocrati e magistrati meno corrivi, sia nel senso della sottomissione sia nel senso della supplenza, perché non ha senso aggredire Salvini in giudizio sulla questione di un vecchio debito di partito, e qualcosa ne verrà fuori. Non bisogna disperare. L’obiezione è un ingombro forte per poteri che non sopportano la molestia del dissenso. L’importante è che sia tenuto fermo il concetto, ormai qui stranoto, di un’opposizione a ciò che sono, a ciò che di loro si vede a occhio nudo e a torso nudo, e non di una relazione politica complessa e vischiosa con ciò che annunciano, affettano di fare.

  

Il Truce ha il 33 per cento, dicono, dica 33, ma Renzi cinque anni fa aveva il 40, dica 40. Poi si è visto quanto sia volatile l’opinione elettorale, che disastri possa combinare la perdita della rotta combinata con le mene dell’accozzaglia, l’instabilità regna sovrana, qualcuno comincia a sospettare che si potrebbe passare in un batter d’occhio dalla povertà percepita alla povertà reale, con la consolazione dell’agente sotto copertura. Bisogna intrattenere un senso mobile del tempo, immagine mobile dell’eternità come diceva Platone, e pensare che vanno moltiplicati gli strumenti dell’obiezione, le forme in cui si esplica, batte il suo chiodo, scrittura e parola detta, comunità e minoranze attive, l’obiezione adesso non incute timore agli stolti ma genera in sé riscatto e meraviglie. In un certo senso siamo tutti greci, o grechi come direbbe la Santanché, dopo il referendum contro l’euro, tutti in attesa di Tsipras, dall’altra Europa con la Grecia all’altra Grecia con l’Europa, la storia sa sorprendere. Non dico che lo si debba implicare di necessità, questo acciaio dell’obiezione da produrre a tonnellate come all’Ilva, ma non lo si può escludere come output, e comunque non c’è alternativa. Servono leader senza clamorosi difetti di pronuncia e senza quell’aria da impiegato che lèvati. L’obiezione è dei freak.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.