Foto LaPresse

“No al partito unico, la storia del centrodestra è quella di una coalizione vincente”

David Allegranti

Parla Stefano Mugnai, deputato e coordinatore toscano di Forza Italia: “Salvini è un bravo leader di partito, Berlusconi seppe mettere insieme anime diverse”

Roma. Dice Stefano Mugnai, deputato e coordinatore toscano di Forza Italia, che il partito unico di centrodestra non è la soluzione. Non lo è anzitutto per Forza Italia, perché finché non torna a crescere “con il partito unico sarebbe solo un’annessione”. D’altronde Matteo Salvini, lo dicono le elezioni di marzo e lo dicono gli ultimi sondaggi, continua a crescere, adesso ha pure sorpassato gli alleati di governo del M5s. “Nella storia di questo paese – dice al Foglio – i partiti unici rappresentano una semplificazione ma non producono mai granché. E per fare partiti unici serve pari dignità, a partire da consistenza numerica. Questa scelta insomma non pagherebbe in termini di consenso”. E Forza Italia, aggiunge Mugnai, “ha una sua storia, una sua identità, che non è quella della Lega. Pere e mele non possono entrare nello stesso cestello”.

 

C’è da dire peraltro – questo Mugnai non lo afferma, ma basta partecipare ai conversare in Transatlantico fra i deputati per cogliere questi timore – che con l’“annessione” sparirebbero i parlamentari italo-forzuti, fagocitati dal corpaccione leghista già saldamente presente alla Camera e al Senato. Composto, peraltro, da ex amministratori, quindi persone esperte che hanno avuto già modo di formarsi sui territori. “Le semplificazioni non funzionano nel medio-lungo periodo. E vista la nostra storia il sistema migliore per noi è creare coalizioni e maggioranze forti. Da questo punto di vista peraltro si marca la differenza tra Berlusconi e Salvini. Berlusconi si può amare o no, ma è stato un grande leader di partito e di coalizione, da lui inventata di sana pianta. Fino a oggi Salvini è stato un bravo leader di partito, ha portato la Lega da percentuali bassissime al 17 per cento delle ultime elezioni. Ma nelle vesti di leader di coalizione è come Tirana al tempo del colonnello Bernacca: non pervenuto”. E se si fa mente locale, dice Mugnai, lo stesso è successo con altri leader, anche nel centrosinistra.

 

“Pensiamo alla meteorina Renzi, che non ha manco provato a fare il leader di coalizione. O a Veltroni e all’esperienza del Lingotto, che veniva guardato con grande aspettative e, da parte mia, con grandi timori. Neanche lui pensò a fare la coalizione, ragionava in termini di partito a vocazione maggioritaria, cosa che Berlusconi non ha mai cercato. Anzi ha sempre cercato di ampliare il più possibile la coalizione andando anche a rincorrere formazioni marginali, costruendo una coalizione con più sensibilità per essere più forti”. Insomma, “Salvini deve provare a fare il leader di coalizione non di partito unico. Finora non lo ha fatto. Berlusconi invece è stato leader di partito e di coalizione”.

 

La coalizione è importante perché “permette di rispettare tutte le motivazioni estremamente soggettive di chi vota. La democrazia e la costruzione del consenso sono una cosa complessa, pensare di vincere e semplificare tutto riduce la possibilità di intercettare un consenso ampio: se a un elettore stanno sulle scatole Forza Italia o Mugnai, vota la Lega, e viceversa. In un partito unico non c’è possibilità di scelta invece. La storia di Berlusconi dice che si può essere essere baricentrici per 20 anni e che quella è la ricetta giusta: cercare di allargare. Nasce con Berlusconi alleato alla Lega al nord e con la destra al sud. La storia recente della Toscana, la regione da cui provengo, dove in questi anni abbiamo ottenuto tante vittorie, dimostra che se siamo uniti possiamo vincere ovunque. In una coalizione però, non in un partito unico. Insomma, il centrodestra ha le praterie davanti, il M5s anche in questi mesi ha dimostrato una totale inadeguatezza dei grillini alla prova di governo”.

David Allegranti

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.