Marco Valli. Foto Imagoeconomica

“Rebate” a cinque stelle sul bilancio europeo

Valerio Valentini

Parla Valli, eurodeputato del M5s: “Non escludiamo di chiedere un rimborso all’Ue. Come la Thatcher”

Roma. E alla fine anche stavolta, delle minacce e dei propositi incendiari, non resta che poca cosa. “L’ipotesi del veto sul bilancio europeo? Stiamo semmai pensando a chiedere un rimborso”. “La violazione dell’odiatissimo vincolo del 3 per cento? Non credo che per la manovra che ci apprestiamo a varare sarà necessario ricorrere allo sforamento di questo parametro”. Così parla Marco Valli, eurodeputato del M5s, milanese classe ‘85. Piglio sempre deciso, eloquio solforoso, se gli si chiede cosa ne è dell’ultimatum lanciato da Luigi Di Maio qualche giorno fa (“O l’Ue ci aiuta, o smettiamo di versare 20 miliardi all’anno” – che poi sarebbero 13, ma vabbè), risponde quasi con circospezione: “La discussione sul bilancio pluriennale europeo è l’opportunità che aspettavamo per ridisegnare un’Europa che dia risposte vere ai cittadini”. E dunque? “E dunque non è da escludere che l’Italia possa chiedere uno sconto sulla contribuzione al bilancio Ue nel momento in cui venga ciecamente lasciata sola a gestire emergenze che dovrebbero essere di competenza europea”. E insomma delle intimidazioni un po’ scomposte non rimane che la possibilità, per ora assai vaga, di chiedere un rimborso. “Si chiama rebate, e ci sono già dei precedenti: dal Regno Unito della Thatcher alla Germania, fino ad Austria e Paesi Bassi”. Si tratta di una procedura molto complessa e difficile da attuare: “E’ un rimborso parziale dei fondi dovuti o versati. Siamo contributori netti, noi italiani, e se l’Ue non ci aiuta nella gestione dei flussi migratori e nella condivisione dei rischi bancari potremmo chiedere uno sconto nei prossimi bilanci per gestire noi internamente queste voci di spesa. E’ una decisione politica che non escludiamo”. E’ anche, però, un passo indietro rispetto alle bellicose intenzioni iniziali. Un po’ come l’impeachment a Mattarella, un po’ come la nazionalizzazione hic et nunc delle autostrade: “E’ comunque un passo avanti rispetto alla genuflessione dei governi precedenti”.

  

Eppure il bilancio che la Commissione ha presentato, in vista del settennato 2021-2027, è quanto mai favorevole all’Italia: toglie fondi ai paesi di Visegrad e li dirotta su quelli del Mediterraneo. “Aperture, certo, ma ancora da definire dal punto di vista politico. Il bilancio proposto sembra aumentare alcune portate che vengono servite a tavola, ma ci sono grandissime difficoltà nel trovare una quadra tra gli stati sulla proposta della Commissione”.

   

E poi ci sono le difficoltà interne, tutte italiane. Quelle, cioè, di una manovra che, dice Valli, “dovrà essere responsabilmente coraggiosa”. Dicevate solo “coraggiosa”, fino a qualche giorno fa. “Senza il coraggio non si cambia l’Italia. Puntiamo alla maggior flessibilità possibile, anche per rilanciare la domanda interna. E su questo col ministro Tria c’è comunione d’intenti. Per questo dico che la manovra dovrà essere coraggiosa, ma non spregiudicata”. E insomma questo tetto del 3 per cento, in passato tante volte condannato? “Non credo che sarà necessario sforare, perché tutti i progetti sono riforme complesse e saranno realizzate in modo graduale nell’arco della legislatura”. Tradotto: solo un abbozzo delle mille mirabolanti promesse sarà inserito in legge di stabilità. “Stiamo lavorando a una manovra libera dai conflitti di interesse: tagliamo sprechi e privilegi e li dirottiamo verso gli obiettivi del contratto di governo, primo fra tutti il reddito di cittadinanza”.

   

E la Bce? Da più parti, nel governo, s’invoca il proseguimento del Quantitative easing: il che, per certi versi, è forse il più sincero riconoscimento della bontà dell’operato di Mario Draghi, il banchiere centrale contro cui mille volte il grillino Valli s’è scagliato, lanciandosi in intemerate non sempre gloriose. “Noi riteniamo necessario mantenere il programma del Qe operativo almeno sin quando non ci saranno chiari segnali di una vera ripresa economica in tutti i paesi europei. Ma si tratta, in ogni caso, di una misura temporanea, che non riesce a trasmettere efficacemente la liquidità all’economia, e che anzi rischia di lasciarla intrappolata nei mercati finanziari. Inoltre non risolve le criticità e gli squilibri all’interno dell’area euro perché i diciannove stati membri dell’Eurozona hanno necessità diverse in termini di tassi d’interesse e inflazione. I trattati perciò dovrebbero essere modificati per permettere alla Bce di poter finanziare direttamente gli Stati membri, e non il sistema bancario privato”. Direttamente? E come? “Con gli eurobond, ad esempio”.