Giovanni Toti (foto LaPresse)

Il momento di fare, senza propaganda. Parla il governatore Toti

Valerio Valentini

“Di più ponti, di più strade e di più gallerie abbiamo bisogno, non di ideologie”. Dall’emergenza a un’idea per il futuro

Roma. “C’è molto da fare”, dice. Ed è quasi scontato, che lo dica – sempre, all’indomani di una Grande Tragedia Italiana, c’è da fare. Eppure, mentre lo si sente parlare, pare quasi che questa parola – fare – assuma un’accezione più concreta, rispetto a tanti colleghi, e torni a una sua essenzialità. Fare come costruire, fabbricare. “Per me – spiega Giovanni Toti – quest’emergenza finirà quando Genova avrà di nuovo tutte le infrastrutture su cui poteva contare fino a qualche giorno fa”. Poi si ferma e si corregge, da solo. “Anzi no: quest’emergenza finirà quando di infrastrutture ce ne saranno di più di quelle che già c’erano: perché anche la Gronda dovremo fare, anche il terzo valico che è già realizzato per un buon 40 per cento, anche il secondo anello ferroviario per il porto. Ecco, allora l’emergenza sarà finita”.

 

Dunque è quasi non volendo, o fingendo quantomeno di non volere, che il governatore della Liguria, nel quarto d’ora di pausa che si concede e ci concede a metà pomeriggio, interviene nel dibattito politico, assai scomposto, che s’è innescato un attimo dopo il crollo del ponte Morandi. E lo fa da presidente di regione e anche – lui non lo esclude, né in alcun modo lo disdegna – da possibile commissario straordinario per la ricostruzione. “Francamente, tutte le polemiche di queste ore le trovo inopportune e intempestive. Da parte mia ringrazio Giuseppe Conte, che ha dimostrato vicinanza e capacità di ascolto fin dalle prime ore dell’emergenza. Ecco, ora non vorrei dovere rivedere la mia prima impressione su questo governo, che pure è stata positiva. Non vorrei, insomma, che qualcuno nell’esecutivo utilizzasse il dramma di questa città per sollevare questioni che oggi sono improprie o per coprire delle responsabilità politiche rispetto a certi dibattiti assurdi alimentati in un passato anche recente”.

  

Si riferisce ai Cinque stelle, Toti, e non lo nega. “Sono stati loro ad avere una politica quantomeno ondivaga, sulle infrastrutture. Ora, in questi giorni, alcune dichiarazioni sembrano preludere a una svolta, a un approccio finalmente più pragmatico. Ma se penso a certe frasi di Luigi Di Maio e Danilo Toninelli, obiettivamente mi sembra di sentire dei proclami un po’ inquietanti”. Eppure i vertici grillini non indietreggiano, dicono anzi che è da sciacalli tirare in ballo la loro contrarietà alle grandi opere nei dibattiti sul crollo del viadotto. “Io so che ora Genova è divisa in due, il porto è isolato. Ed è un dramma non solo per la Liguria, ma per tutt’Italia, visto che da qui transita il 60 per cento dei container che entrano ed escono dal nostro paese. E siccome non mi attribuisco doti divinatorie, non sono affatto in grado di dire cosa ne sarebbe stato del ponte Morandi se avessimo avuto la Gronda. So per certo che se avessimo avuto la Gronda ora disporremmo di una alternativa alla viabilità su gomma. E non sono neppure in grado di dire cosa ne sarebbe stato del ponte Morandi se avessimo avuto il terzo valico. So per certo che se avessimo avuto il terzo valico una parte consistente dei tir che viaggiano sulle nostre strade verrebbe sostituita dai treni”.

  

E dunque “di più ponti, di più strade e di più gallerie abbiamo bisogno, non di ideologie e di propaganda”. E di verità, pure, su quel che è accaduto. O no? “Qui nessuno sta neanche lontanamente pensando di insabbiare nulla. Come regione, vogliamo che le cause di queste morti assurde e raccapriccianti vengano accertate. Morire cadendo giù da un ponte mentre si va in vacanza, mentre si va al lavoro, è assurdo, nel settimo paese più industrializzato al mondo. E dunque la ricerca delle responsabilità deve essere spietata. Ma non spetta di certo ai ministri: spetta al procuratore della Repubblica di questa città, che ha già chiarito di voler condurre una inchiesta rigorosa. Io trovo inopportuno tutto quello che oggi distoglie ciascuno dai suoi compiti e dai suoi doveri: i magistrati facciano luce su quanto è successo e diano un nome e un cognome ai colpevoli, i politici ridiano una casa a chi l’ha persa e un supporto, una speranza di futuro, a chi ha perso un famigliare in questo incidente”.

  

E Autostrade? “Autostrade, che qualche colpa ce l’ha, collabori con le istituzioni e, con un atto tempestivo e unilaterale, metta i suoi tecnici a lavorare per ricostruire il ponte e per dare un supporto alle famiglie rimaste coinvolte nel crollo, senza pensare di potere barattare questo suo impegno con qualsiasi altro tipo di favore”. “Dopodiché – prosegue Toti – il governo ha tutto il diritto di valutare eventuali revoche di concessioni, ma non usi in alcun modo Genova come palcoscenico per la sua propaganda politica. Non è di questo che la città ha bisogno”.

  

Di un commissario, invece, sì. E anche di una legge speciale. “Esatto. Siamo un paese eccellente nel gestire la prima emergenza, e vedere le mani screpolate dei volontari che lavorano senza sosta tra le macerie, in queste ore, ce lo ricorda una volta di più; poi però restiamo puntualmente impantanati nel groviglio di leggi che abbiamo prodotto in questi ultimi decenni. Ecco, a Genova questo non dovrà accadere; questa città non dovrà diventare come uno di quei centri terremotati del centro Italia, dove la paralisi legislativa regna sovrana. Abbiamo ovviamente bisogno di fondi, che per questa prima fase, insieme al capo della Protezione civile Angelo Borrelli, abbiamo quantificato nell’ordine di alcune decine di milioni di euro. Ma soprattutto abbiamo bisogno di potere spendere quei soldi, in maniera rapida ed efficace”.

  

E il potere di decidere, di guidare? “E’ ovvio che quello va attribuito alle istituzioni locali: comune e regione”. Con Toti commissario straordinario, magari? “L’impostazione canonica, in questi casi, prevede che il governatore sia a capo della struttura e abbia a suo supporto un ente attuatore che ne dipenda e che abbia al suo interno tutte le capacità e le competenze necessarie per operare”. Ed è questo che chiederete al governo? “Sì, tenendo comunque bene a mente che, descritta così, si tratta comunque di una scatola vuota. Dentro dobbiamo metterci i poteri. Bisogna agire in deroga al codice degli appalti, con affidamenti diretti alle imprese. E poi, ancora: accordi specifici con Autostrade per la realizzazione dei cantieri, senza dovere attendere le valutazioni di impatto ambientale e le altre cervellotiche intenzioni che si traducono troppo spesso in pastoie burocratiche e inutili lungaggini”.

  

E Genova, così, finirà per essere la prima cavia del governo grilloleghista, esposta alle contraddizioni e alle ambiguità di una coalizione che, quando si parla di opere più o meno grandi da realizzare, a volte appare un po’ bipolare. “Se oggi, da questa tristissima e surreale vicenda, prendessimo consapevolezza del fatto che abbiamo infrastrutture vecchie e limitate, e che necessitiamo di più ponti, più tunnel, più gasdotti e più elettrodotti, oltreché di linee ferroviarie più veloci ed efficienti, avremmo già dato, a quei famigliari delle vittime che oggi comprensibilmente rifiutano come offensive le esequie di stato, una ragione per tornare ad avere fiducia nelle istituzioni. Ci sarà un motivo se in questo paese l’energia e la logistica hanno costi notevolmente maggiori che altrove in Europa, no. Le polemiche sguaiate non risollevano i ponti, e neppure certe ideologie anacronistiche che vedono in ogni cantiere un qualcosa di ostile e di minaccioso ci servono ad alcunché”.