L'ex ministro degli Esteri e della Difesa, Antonio Martino (Foto Lapresse)

Abolire la leva fu una battaglia liberale, dice Martino ex ministro della Difesa

Luciano Capone

Il fondatore di Forza Italia abolì la naja. Adesso boccia la proposta di Salvini: “Non è un’idea né giusta né romantica, ma è un’idea sbagliata e balzana"

Roma. “Non è un’idea né giusta né romantica, ma è un’idea sbagliata e balzana”. Antonio Martino, uno degli intellettuali con cui Silvio Berlusconi fondò Forza Italia, è netto – in linea con il suo stile – rispetto alla proposta di reintroduzione della leva militare obbligatoria lanciata nei giorni scorsi dal ministro dell’Interno Matteo Salvini e respinta, anche se definita “romantica”, dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta. L’economista liberale conosce bene la questione, perché è stato lui il ministro della Difesa che nel 2004 abolì la naja.

 

“Per la verità – precisa Martino – la previsione della fine della leva è dovuta al presidente Sergio Mattarella, mio predecessore alla Difesa, io con la legge Martino ho anticipato i tempi della fine della leva obbligatoria”. Era comunque una decisione nelle sue corde intellettuali, l’abolizione della coscrizione militare è stata una battaglia del suo maestro Milton Friedman. “E’ una battaglia liberale. Friedman sosteneva giustamente che era un sistema iniquo, che tra l’altro aveva portato alla sconfitta in Vietnam, perché le proteste contro la guerra erano dovute anche alle assurdità del sistema di reclutamento per cui se uno si iscriveva alla facoltà di teologia non andava in guerra e se invece era un povero negro non iscritto ad alcuna università lo sbattevano in prima linea. Ed era assolutamente ingiusto”.

 

E per l’Italia quali sono state le motivazioni? “L’abolizione era giustificata sia dalle esigenze delle forze armate sia dalle esigenze dei giovani. Per le forze armate l’impegno maggiore sono le missioni militari, che non possono essere fatte da persone che servono per obbligo e soprattutto impreparate. Servono i professionisti”. E per i giovani? “Beh, per i giovani la leva era un disastro – dice Martino – la disoccupazione giovanile era, come oggi, molto alta e far perdere un anno o più quando uno sta per entrare nel mercato del lavoro significa rendere più difficile l’inserimento nella società”.

 

Anche se la riforma è stata accolta positivamente, immagino che ci siano state delle resistenze. “Dovetti combattere una battaglia durissima con l’Associazione nazionale alpini. Lamentavano che gli alpini fossero meridionali, volevano che venissero dalle zone vicine alle Alpi, ma lì non avevano alcuna intenzione di fare i militari e loro li volevano costringere”. E cosa ha risposto? “Ho detto che essendo siciliano, quindi più vicino a Tunisi che a Roma, il fatto che i più nordici degli alpini fossero abruzzesi non mi sconvolgeva più di tanto”.

  

Non a caso Salvini proprio agli incontri con gli alpini ha fatto dichiarazioni a favore della leva obbligatoria per educare i giovani. “E’ una sciocchezza assoluta. Non c’è dubbio che la vita militare abbia un alto valore educativo, ma credo che l’educazione che non si apprende a casa non la si apprenda da nessuna parte, neppure a scuola. L’unità educativa più importante è e resta la famiglia”. C’è anche un costo economico per lo stato. “Non c’è dubbio, ma il costo è sopportato soprattutto dagli interessati, dai giovani. Il problema ulteriore è che pur costando poco in realtà costano troppo, perché non rendono nulla. Che cosa se ne fa uno di un ragazzo che è stato costretto a indossare la divisa e non sa fare niente dal punto di vista militare?”.

 

La visione che dà allo stato un ruolo sempre più centrale è la stessa che sta dietro al reddito di cittadinanza, è un’idea che funziona. “Mentre lo statalismo è facile da comprendere, il suo contrario è molto difficile. Lo statalismo è basato sull’idea che decisioni giuste producano inevitabilmente risultati desiderati. Ma non è vero, e la storia ce lo ricorda continuamente”. Questa proposta si inserisce in un linguaggio politico sempre più militaresco, si parla continuamente di invasioni, nemici alle porte, complotti di speculatori e potenze straniere… “Una delle cose più positive del nostro mondo è che le dittature, come le malattie esantematiche, non hanno ricadute. Siccome il fascismo lo abbiamo già avuto è improbabile che lo riavremo. Ma se non lo avessimo avuto, io oggi vedrei tutti in camicia nera a salutare il Duce, perché c’è la voglia dell’uomo forte e l’idea balzana che risolverà tutti i problemi della società”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali