Matteo Salvini alla fiera delle armi di Vicenza (foto LaPresse)

Abbecedario Gialloverde

Francesco Cundari

Facinorosi, ipocriti, presunti profughi. Appunti sul nuovo italiano, lontano dall’attico del radical chic

Chi crede nell’uguaglianza di tutti gli uomini è uno “snob”, i volontari sono “affaristi”, mentre i profughi che scappano da guerre e persecuzioni sono scrocconi che vogliono solo godersi la “pacchia” nel nostro paese. Benvenuti nella nuova Italia, ma soprattutto nel nuovo italiano gialloverde: cartina linguistico-ideologica di un paese dove tutto andrebbe benissimo, dopo le elezioni del 4 marzo e l’alleanza – pardon, il “contratto di governo” – tra Movimento 5 stelle e Lega, se non fosse per quel vecchio vizio che spesso torna a infestare la nostra convivenza civile: il “razzismo” contro gli italiani, quell’intolleranza carica di pregiudizi tipica di chi continua a parlare di rifugiati e diritti umani ma non versa una lacrima per i propri connazionali in difficoltà. Un paese dove i responsabili dei morti in mare sono coloro che li salvano (perché, come ci ha insegnato da ultimo Marco Travaglio, salvandoli li incoraggiano a naufragare), dove con “diritto all’inclusione” si intende il diritto di mandare a scuola i bambini senza averli vaccinati (mentre i bambini malati e immunodepressi, come ci ha spiegato il ministro dell’Istruzione, possono benissimo studiare da casa) e con “presunzione d’innocenza” s’intende l’atteggiamento arrogante e borioso tipico dei “colpevoli non ancora scoperti” (quali sono sempre i cosiddetti “innocenti”, come ci insegna da tempo Piercamillo Davigo, primo degli eletti al Consiglio superiore della magistratura).

 

Attico

“La maglia rossa ce l’ho, adesso mi mancano solo un Rolex e un attico a New York e allora anche io potrò finalmente pontificare sull’immigrazione come fanno i radical chic” (Giorgia Meloni, 7 luglio 2018).

 

In questa nuova Italia populista, in cui soffia forte il vento del cambiamento, non è cambiata solo la geografia del potere, ma anche quella dei luoghi comuni. Il nemico numero uno è sempre l’intellettuale di sinistra, o l’intellettuale tout court, ma non se ne sta più in una banale torre d’avorio: il nemico del popolo, oggi, si nasconde nell’attico. La caricatura propalata per

Nella nuova Italia populista non è cambiata solo la geografia del potere, ma anche quella dei luoghi comuni. Il nemico è sempre l’intellettuale

 

mostrificare Roberto Saviano è divenuta infatti, per estensione, attributo essenziale di tutti gli intellettuali progressisti, in base al principio cardine della polemica populista al tempo dei social network, che potremmo chiamare la metonimia dell’insinuazione. Il primo a utilizzare contro l’autore di Gomorra l’immagine del ricco scrittore che parla da un “attico a Manhattan”, a quanto ricorda il diretto interessato, era stato un “senatore di Ala, fedelissimo di Nicola Cosentino”. Ma l’espressione è divenuta subito proverbiale, senza dubbio per la forza icastica della trovata, per la facile presa che subito ottiene sulla fanciullesca mentalità dei calunniatori di professione e degli hater per vocazione, in quanto vera e propria iperbole architettonica: se infatti l’attico è di per sé, anche al centro di Roma o di Caserta, un’abitazione di lusso, dalla quale si domina tutto il territorio circostante, cosa sarà mai l’attico di un grattacielo? (Vedi anche: Radical chic).

 

Buonismo

“L’albergatore romagnolo ha fatto benissimo a dire no al ragazzo di colore come cameriere. Non si deve scusare di nulla. Io faccio lo stesso tipo di scelta per il mio locale. E’ tempo di dire basta a questo strisciante buonismo: è preoccupante e persino pericoloso” (Sergio Rossi, titolare di un bar-ristorante a Reggio Emilia, 6 agosto 2017).

 

Affermatasi inizialmente come critica da sinistra a posizioni considerate troppo condiscendenti verso gli avversari (“Buonismo, malattia infantile del centrosinistra”, era lo strillo di copertina dell’Espresso, sotto il volto rassicurante di Walter Veltroni, nel lontano 1995), la minaccia del buonismo ha rapidamente cambiato segno. In breve, infatti, quella critica è stata ripresa proprio dai principali beneficiari di tanta delicatezza, cioè la destra, e rivoltata prima contro la sinistra nel suo insieme, poi contro chiunque si occupasse in alcun modo di accoglienza e solidarietà, infine – e inevitabilmente – contro il principale mandante e primo responsabile di una simile predicazione: il Papa. “Questa è una vera e propria guerra – dichiara ad esempio Matteo Salvini l’8 gennaio 2015, all’indomani della strage al settimanale Charlie Hebdo – quindi rispondere con tolleranza e buonismo è un suicidio”. Per questa ragione, argomenta, quando il Papa parla di dialogo con l’Islam, “non fa un buon servizio ai cattolici”. E ancora: “Quando il Papa va a Lampedusa a dire ‘avanti, c’è spazio per tutti’, sbaglia”. E infine: “Quando il Papa dice che siamo tutti sullo stesso piano, sbaglia”. Già, da dove l’avrà mai pescata, il Papa, questa idea che siamo tutti sullo stesso piano?

 

Casta

“Non siamo un partito, non siamo una casta/ siamo cittadini punto e basta!” (Ognuno vale uno, inno del Movimento 5 stelle).

 

Pulizia etnica è l’espressione più inquietante. L’idea di un complotto ordito dalla finanza internazionale dietro l’arrivo dei migranti

E’ la parola d’ordine capace di unificare tutti i populisti del paese, e non solo. Valicando persino i patri confini, la lotta contro la “casta” è divenuta la bandiera di Marine Le Pen, che nell’ultima campagna presidenziale si è scagliata contro la “caste politico-médiatique”, ma anche degli spagnoli di Podemos (che tuttavia, in un sussulto di consapevolezza democratica, hanno successivamente preferito sostituirla con il più fumoso concetto di “trama”, che avrebbe dovuto alludere a meno antipolitici e più sofisticati intrecci di potere economico-istituzionali). E’ tuttavia degno di nota che in Italia la battaglia fondamentale dei populisti non nasca da una campagna del blog di Beppe Grillo, ma del Corriere della Sera. Vale a dire del principale giornale dell’establishment, nel 2007 ancora edito da quella Rcs controllata da tutte le maggiori banche del paese e considerata a giusto titolo, pertanto, il “salotto buono” della finanza italiana.

 

Conformismo

“Quanto conformismo e quanta viltà si nasconde nella facile solidarietà” (Alessandro Di Battista, 7 luglio 2018).

 

Schierarsi contro il governo sul tema dei migranti, all’indomani di elezioni stravinte dai partiti di governo proprio su questo argomento, è un segno di viltà e conformismo: come dare torto a Di Battista, nella sua vibrante polemica con le “magliette rosse”, di fronte a quello che in questi giorni accade nel Mediterraneo? Ha ragione: la solidarietà è facile, il difficile è voltare la testa dall’altra parte. Per continuare a farlo e vantarsene pure, obiettivamente, ci vuole un bel coraggio.

 

Democrazia diretta

“Il Garante è il custode dei valori fondamentali dell’azione politica dell’Associazione. In tale spirito esercita con imparzialità, indipendenza ed autorevolezza le prerogative riconosciute dallo Statuto. In tale veste, oltre ai poteri previsti nel presente Statuto, al Garante è attribuito il potere di interpretazione autentica, non sindacabile, delle norme del presente Statuto” (Statuto del Movimento 5 stelle).

 

Votazioni su una piattaforma informatica gestita da una società privata, spesso annunciate con meno di ventiquattro ore di anticipo, altrettanto spesso annullate e poi ripetute con motivazioni variabili (molto usata è quella dell’attacco hacker, cioè più o meno la stessa che di solito l’insultatore medio da social network invoca quando teme che qualcuno possa fargli causa); inverificabili, indiscutibili e incontestabili, perché tempi e modalità del loro svolgimento, come della certificazione e della comunicazione del loro esito, sono stabiliti dagli stessi proprietari della piattaforma. A tutto questo si riferiscono quotidianamente, e senza un filo d’ironia, la maggior parte degli osservatori e dei commentatori italiani quando parlano del modello di “democrazia diretta” con cui si vorrebbe riformare nientemeno che la democrazia rappresentativa.

 

Eccessi

“Non esiste un eccesso di legittima difesa. Se entri a casa mia in piedi sai che puoi uscirne steso. Non sono cose cattive, ma cose normali” (Matteo Salvini, 28 febbraio 2015).

 

Purtroppo, almeno sull’ultima parte del discorso, ha ragione Salvini. Nell’Italia di oggi, questo genere di affermazioni non rappresentano né appaiono più a nessuno “cose cattive”, e nemmeno particolari. E’ il new normal.

 

Facinorosi

“Orgoglioso della Guardia Costiera italiana che con nave Diciotti ha preso a bordo 60 migranti che stavano mettendo in pericolo di vita l’equipaggio dell’incrociatore italiano Vos Thalassa. Ora avanti con indagini per punire facinorosi” (Danilo Toninelli, 10 luglio 2018).

 

Nel corso della storia del Novecento il termine “facinorosi” è stato utilizzato molte volte e con diversi bersagli. Dai governi di destra è stato rivolto spesso ai militanti della sinistra, specialmente in occasione di manifestazioni di protesta e relativi scontri con le forze dell’ordine. Da sinistra è stato utilizzato non meno spesso nei confronti di fascisti e nazionalisti. Per Antonio Gramsci l’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale fu dovuto alla “volontà pervicace di un pugno di facinorosi e di avventurieri”. E tuttavia mai, almeno a nostra memoria, il termine era stato adottato per definire un gruppo di naufraghi appena salvati dall’annegamento, colpevoli di avere implorato di non essere riportati nei lager da cui erano fuggiti, a rischio della vita. Ed è senza dubbio un segno dei tempi anche che la successiva polemica sul web si sia concentrata sul fatto che il ministro dei Trasporti prendesse un rimorchiatore per un incrociatore, piuttosto che la vittima per il carnefice.

 

Ipocriti

“C’è un club di ipocriti in questo paese che ha sempre finto di non vedere il business sull’immigrazione (forse perché gli faceva comodo?)” (Luigi Di Maio, 23 aprile 2017).

 

Regola numero uno del dibattito pubblico nell’Italia gialloverde: gli ipocriti sono sempre gli altri. Regola numero due: l’immigrazione non è mai un “fenomeno”, e tanto meno una “tragedia”, ma sempre un “business”. (Vedi anche: Profughi).

 

Profughi

“Il nostro obiettivo è ridurre gli sbarchi e aumentare le espulsioni, tagliare i costi per il mantenimento dei presunti profughi e i tempi della loro permanenza in Italia” (Matteo Salvini, 9 giugno 2018).

 

Gli innocenti no, ma i profughi, quelli invece sì, sono sempre “presunti”. L’espressione di rigore è infatti “presunti profughi”. E’ come il “business dell’immigrazione”: profughi e presunzioni vanno sempre insieme.

 

Pulizia etnica

“Vedremo di adottare ogni mezzo possibile, oltre a quelli che già abbiamo percorso, per fermare questa invasione. E quando dico ogni mezzo dico ogni mezzo, ovviamente legalmente permesso o quasi, perché siamo di fronte a un tentativo evidente di pulizia etnica, di sostituzione etnica ai danni di chi vive in Italia” (Matteo Salvini, 15 maggio 2017).

 

Pulizia – o sostituzione – etnica è l’espressione più inquietante e più diffusa del nuovo lessico sovranista. E’ l’idea che dietro l’arrivo dei migranti ci sia un complotto ordito dalla finanza internazionale (un tempo lo si sarebbe detto “plutocratico”), e per essere precisi da un finanziere ebreo (un tempo lo si sarebbe detto pertanto “pluto-giudaico”), in altre parole di George Soros, che a tale scopo sovvenzionerebbe le organizzazioni non governative. Non per niente in Ungheria è stato promosso un pacchetto di leggi anti-immigrazione chiamato proprio così: “Stop Soros”, in cui si prevede tra l’altro il carcere per chi accoglie e aiuta i migranti, su iniziativa del governo di Viktor Orbán. Che poi sarebbe quel signore con cui Salvini e Meloni amano farsi i selfie in Europa.

 

Radical chic

“Io non ho nulla da cui scusarsi, se non si dovrebbero scusare quei radical chic che stamattina mi attaccano sui giornali” (Luigi Di Maio – testualmente – 13 aprile 2017).

 

Contro la casta. La battaglia fondamentale dei populisti non nasce da una campagna del blog di Grillo, ma del Corriere della Sera

 

Coniata da Tom Wolfe negli anni Settanta per descrivere un’aristocrazia intellettuale di idee radicali, ben rappresentata dal grande compositore Leonard Bernstein, che aveva invitato esponenti delle Black Panthers come attrazione della serata nel suo lussuoso appartamento di Park Avenue, l’espressione “radical chic”, nella versione italiana, ha perso subito la connotazione “radicale”, conservando soltanto lo “chic”. E dopo la sua più recente mutazione gialloverde – nella forma “intellettuali radical chic col Rolex” – neanche più quello. Oltre alla già citata Meloni, merita una menzione in proposito il tweet del senatore leghista Stefano Borghesi: “Indossano la loro #magliettarossa per fare il predicozzo a chi non la pensa come loro sul tema #migranti, però vestono firmato e al polso c’hanno il Rolex. La tipica vita del radical chic”. Dando così l’impressione non tanto di non avere letto un vecchio libro di Tom Wolfe, che per dei populisti non sarebbe comunque un gran problema, ma di non avere mai visto nemmeno un film dei Vanzina.