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I fondi della Lega e le norme garantiste

Redazione

Perché il leader leghista dovrebbe appellarsi al diritto e non al complotto

Lasciando da parte la richiesta di condanna in appello di Umberto Bossi a un anno e dieci mesi nel processo di Genova sui fondi della Lega, c’è da registrare ieri la decisione del tribunale del Riesame che ha stabilito che nella ricerca dei famosi 49 milioni è corretto sequestrare il denaro dei conti regionali, oltre a quelli del livello “nazionale” del partito, che la Lega chiama “federale”. E questo appare legittimo, di un solo partito, seppure “federale” si tratta. Il punto rimane quello evidenziato giorni fa al Foglio da Carlo Nordio, che citava “un principio sacrosanto”, fissato dalla Cassazione: “Le somme sequestrabili devono avere un nesso pertinenziale con il profitto del reato” dunque “possono essere aggredite esclusivamente le acquisizioni realizzate fino al momento del reato, non quelle attuali o future. E’ inconcepibile che, se oggi io dono un obolo alla Lega, questo sia sequestrato per un reato con cui non ha alcun nesso”.

 

Le norme del diritto sono spesso oltremodo sottili, ma nella sostanza – nell’ordinamento di uno stato democratico in cui l’operato della magistratura non sconfina nel terreno dell’azione politica – sono norme di garanzia per tutti. Anziché urlare al complotto, Matteo Salvini dovrebbe, legittimamente, appellarsi alla garanzia delle norme di un ordinamento garantista. Ma non lo può fare, e il perché lo sappiamo.

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