Enzo Moavero Milanesi e Giovanni Tria (foto LaPresse)

In attesa dell'alternativa, o della normalizzazione

Giuliano Ferrara

Sì, ci sono i Tria e i Moavero e una corsa spericolata a coprire il rutto di governo. Ma ci vorrebbe una scossa, una reazione orgogliosa, e si vede solo uno smottamento

Vorrei poterci credere, sarebbe un altro meraviglioso esempio della duttilità italiana. Economia con Giovanni Tria, Esteri con Enzo Moavero, tutto in buone mani. Mattarella e i suoi sorvegliano, imperscrutabile saggezza. Mentre alcuni di noi si allarmano, chi per nuovi chi per vecchi riflessi, il governo assume l’impronta della normalizzazione. Putinismo, trumpismo, strategia di rottura in Europa, guerra degli immigrati, conflitti commerciali, minacce alla libera circolazione, connotazioni sovraniste e razziste (Amato), machismo politico da quattro soldi, democrazia diretta del clic e disprezzo per le istituzioni, asineria diffusa, grottesca, niente, tutto assume in poco tempo l’aspetto del già visto, Salvini capisce che il caporione fazioso e ruspante può diventare qualcosa di simile all’uomo di stato, cercare alleanze serie, garantirsele, adeguare gesto e linguaggio, crescere in esperienza e flessibilità, si socchiudono perfino i porti, il negoziato ridiventa un metodo, si fanno i conti con i numeri alla mano su immigrazione, tasse, lavoro eccetera, i grillozzi si solidificano come un liquido speciale e mostrano un tratto di apertura dotato di senso, bisogna durare durare durare, e magari Bruxelles vince i mondiali di calcio. Sarebbe a suo modo uno schema tipico di conversione, dalla rottura alla cicatrizzazione, alla durata sostenibile di un fenomeno politico fondato fino ad ora su demagogia e brutture di ogni genere, compresa la delineazione di una logica alternativa sostenuta da una coalizione di forze che ritrova una voce autorevole.

 

Non ci credo finché non la vedo, e a dirla tutta non mi attendo di vederla nonostante molti anni di allenamento al cinismo delle cose, al rovesciamento dei significati pubblici. La buona novella si smonta alla luce di tutto il casino bestiale che l’ha preceduta, non soltanto in Italia, e in un tempo di dazi, Brexit dure o mosce, supereroi delle democrazie autoritarie, élite in contestazione, popoli che ruminano rancori inafferrabili, la misura di una coalizione fondata sulla curvatura maligna della razionalità, e perfino della ragionevolezza, sarà difficile da raddrizzarsi con una certa credibilità. L’unico ancoraggio è la moneta unica alla quale nessuno vuole davvero rinunciare: a sorpresa, quell’euro che doveva essere la bomba finanziaria sotto l’impalcatura della sovranazionalità si mostra come uno scudo difficile da infrangere. Il professor Savona inteso come “caso” era l’agitazione di un mito, un richiamo all’azione, poi a ben vedere può entrare a quanto pare, finito il “caso”,  nella lista dei garanti di un ordine strutturale, un richiamo alla responsabilità. Tutto si può fare, si dice, ma con gradualità, senza scosse, si mostra la bandiera, si flettono i muscoli, si esibisce il peggio, ma up to a point, senza esagerare. Non si vive di testosterone, i comizi sono una cosa, il funzionamento del circuito parlamento, governo e altri poteri costituzionali e intergovernativi nell’Unione è un’altra cosa, specie quando alla fine c’è in ballo il portafoglio. La Lega ha un certo know-how amministrativo, una tradizione politica originaria, collegamenti, debiti con l’erario, e quegli altri gigioneggiano da gran fresconi, e sparano vaccini e decreti e bellurie web, un ectoplasma della politica. Chissenefrega se cacciano due balle al minuto, è roba da spiaggia, buona alla fine per l’insulto all’ambulante nero, niente di veramente serio su una scala importante.

 

Dubito. Non tanto per la forza loro, per la debolezza altrui. Il punto di caduta dell’equilibrismo virtuoso dei Tria, custodi della regola dei conti e della flessibilità contrattata con la Commissione europea, e dei Moavero, attenti al nucleo duro di Schengen, magari di concerto con un avvocato delle lobby che non vuole farsi tirare in un ruolo ancora più inessenziale e futile di quello annunciato con la sua nomina a presidente del Consiglio, non mi sembra chiaro. Si vedrà, bisogna aspettare ancora un po’, così si dice, ma intanto certe cose accadono e sviluppano un tasso di efficacia demagogica fino a ieri inverosimile, le tifoserie si organizzano, le opposizioni si sminuzzano nel dettaglismo, tutti corrono a cogliere i segni che gli convengono in una corsa spericolata a coprire il rutto di governo con un discorso in apparenza sensato, attendista, ottimista nel senso meno commendevole del termine. Ci vorrebbe una scossa, una reazione orgogliosa, ma si vede solo uno smottamento, accompagnato da barlumi di intelligenza al servizio, per adesso, della gara di rutti.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.