Foto Pixabay

Perché dopo la disfatta di Siena adesso anche Firenze è contendibile

David Allegranti

Parla il politologo Mario Caciagli: “Nardella nonostante tutto è visto come uno di Renzi, che è impopolare e ha sfasciato tutto”

Roma. Il professor Mario Caciagli, politologo, autore di “Addio alla provincia rossa” (Carocci), scrive da almeno dieci anni ciò di cui oggi tutto si accorgono: cucù, la Toscana rossa non c’è più. E non da domenica scorsa, dopo le sconfitte a Pisa, Siena e Massa. “Ben dieci anni fa – dice al Foglio – ho scritto che la cultura rossa era finita: valori, credenze, miti, memoria storica. Finita con l’Unione sovietica, finita perché nessuno si ricorda, tra i giovani, che cos’è la Resistenza. E, attenzione, questo non c’entra con la continuità di voto: si poteva insistere votando a sinistra, come almeno per un certo periodo è stato fatto. Poi però, una volta finito quel tipo di cultura, le forze politiche che avrebbero dovuto ereditarla sono entrate in crisi”.

 

D’altronde, scrive Caciagli nella sua monografia di quasi 400 pagine pubblicata nel 2017, “le istituzioni della cultura regionale, dalle case del popolo alle Feste dell’Unità, persero lentamente la loro funzione di trasmissione della comunicazione politica. La subcultura rossa era un edificio in disordine, quando vi si abbatterono il crollo del sistema sovietico e il dissolvimento del Pci. L’agonia è durata a lungo, mascherata dai vari nomi dati ai partiti che sono successi al Pci e da alcune abili scelte di alleanze, in specie a livello locale. Ma il consenso elettorale copriva un involucro dentro al quale la cultura delle regioni rosse stava scomparendo”. Insomma, già nelle interviste realizzate dieci anni fa per le sue ricerche sul campo Caciagli ha assistito a uno smarrimento di senso, perché prima entrano in crisi i miti, le credenze e i valori, poi piano piano si arriva alla perdita di consenso politico. “I giovani che intervistavamo – dice al Foglio – ci dicevano che andavano alle feste dell’Unità, ormai prive di connotato politico, per il fresco, per divertirsi, per incontrare gli amici. Nelle case del popolo uguale, oggi ci vanno i vecchi a giocare a carte. I giovani non ci sono”. Il venir meno della tradizione, e dei princìpi e valori legati a essa, insieme “agli errori delle forze politiche che hanno finto di ereditare quella tradizione”, hanno prodotto il risultato di oggi. A questo punto tutto è possibile, dice Caciagli. “Anche Firenze è contendibile. Nardella, nonostante la buona volontà, è visto come uno di Renzi, che è impopolare e ha sfasciato ogni cosa. Voleva rottamare? Beh, ci è riuscito. Ha rottamato tutto, però le macerie cominciavano a esserci già con il Pd, che non è mai nato o è nato male. Renzi si è solo mangiato un guscio vuoto ed era prevedibile che prima o poi gli sarebbe andato di traverso”. E oggi, dice Caciagli, “la cultura rossa è diventata rosa, anzi nemmeno quello”.

 

La Lega all’inizio “vinceva in zone marginali dal punto di vista economico e dove non c’era un immigrato a pagarlo oro. Oggi è uguale: gli immigrati si vedono poco, sono integrati, ma la gente ha paura. Salvini è stato bravissimo a soffiare su questi sentimenti, tant’è che adesso anche le persone che votavano a sinistra hanno timori. Ha vinto la propaganda in una regione in cui non c’è più capacità di resistere alle sirene razziste”. Un tempo era tutto più facile, dice Caciagli, perché c’era la “fede” a risolvere tutto. “Quando ci fu la rivoluzione in Ungheria nel 1956 cascò un mondo ma qui nessuno la prese sul serio. Perché di fronte alla fede non c’è fatto concreto che può far desistere le persone, vale anche in politica. Oggi la fede non c’è più, basta che ci sia qualcuno che urla ‘al nero, al nero’, e la gente si impaurisce. I dati smentiscono l’invasione ma le emozioni contano di più”. Questo non significa, dice Caciagli, ignorare i problemi di integrazione. “Le faccio un esempio: a Santa Croce, Comune di 11 mila abitanti, c’erano 54 etnie diverse, alcune in conflitto fra di loro. A Pisa l’assessorato provinciale ha fatto dei corsi per insegnare l’italiano ai marocchini; alcune cose sono state fatte insomma ma non sono state sufficienti o non hanno trovato sufficiente risonanza nella popolazione. I fenomeni insomma vanno governati altrimenti la tolleranza e l’accoglienza vengono messe in crisi”.

Di più su questi argomenti:
  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.