Serena Williams (foto LaPresse)

Contro il salvinismo ci vuole il modello Serena Williams

Claudio Cerasa

Dai migranti ai vaccini. L'impresentabile non diventa presentabile con la formula “lo dico da papà”

Ceci n’est pas un pirl. Da qualche tempo a questa parte, Matteo Salvini, quarantacinque anni, padre di due splendidi figli, uno di quindici anni, uno di sei, ha scelto di parlare al paese utilizzando una suggestiva tecnica comunicativa racchiusa in un’espressione formata da cinque rassicuranti parole: ve lo dico da papà. C’è da spiegare perché il tetto del deficit non si può rispettare? C’è da spiegare perché una ong non può entrare in un porto italiano? C’è da spiegare perché è giusto fare un censimento su una razza? C’è da spiegare perché bisogna allearsi con Orbán? Nessun problema: ve lo dico da papà.

 

Ormai da mesi, Salvini non si limita a offrirci i suoi pensieri indossando i panni del politico, del capopopolo, del ministro, del vicepresidente del Consiglio, ma in alcuni momenti precisi, quando vuole guardarci negli occhi e dimostrarci che le sue parole sono pure, genuine, spontanee, vere, autentiche, aggiunge alla sua dichiarazione un tocco di umanità ricordandoci che le cose che sta dicendo ce le sta dicendo soprattutto da uomo. Soprattutto da padre.

  

Salvini, in verità, non è il solo ad aver provato a trasformare la figura del genitore impegnato in politica in qualcosa di utile a dimostrare non l’importanza della famiglia ma l’importanza della propria purezza (la pura Virginia Raggi si presentò al primo Consiglio comunale con il proprio figlio, il purissimo Alessandro Di Battista è riuscito a scrivere un libro sull’essere padre praticamente prima ancora di diventare padre). Ma l’assiduità con cui papà Salvini prova a ricordare il suo essere padre nei momenti in cui prova a trasformare in presentabile l’impresentabile è la spia di una tendenza sciagurata: usare i figli come un’assicurazione di infallibilità, usare i figli come un mascara per truccarsi e sembrare più umani. Da ministro e da papà dico nessun approdo per Aquarius. Da ministro e da papà dico che mettere un tetto al deficit è come imporre di affamare i nostri figli perché abbiamo speso troppo. Da ministro e da papà – “e da donatore di sangue e di organi” – dico che le ong non fanno volontariato. Da ministro e da papà, questa Salvini l’ha detta ieri, dico che dieci vaccini per i bambini sono troppi e che alcuni di questi vaccini sono pericolosi.

     

Da papà, padre di due splendidi figli, uno di sei e uno di due anni, potrei far notare a Salvini che fare politica da padri dovrebbe voler dire altro. Lavorare per avere un paese che si preoccupa di ridurre i debiti che gravano sulla testa dei nostri figli. Lavorare per proteggere tutte le minoranze del nostro paese. Non bullizzare i figli di genitori più sfortunati. Non mettere in circolo messaggi xenofobi. Proteggere un sogno chiamato Europa. E ricordare, magari, che giocare con i vaccini, e dire che anche i bambini non vaccinati devono poter andare a scuola, significa giocare sulla pelle di migliaia di bambini che non potendosi vaccinare, e volendo andare a scuola, per essere protetti, non solo dal morbillo, hanno bisogno di avere attorno a sé il più alto numero di bambini vaccinati (l’immunità di gregge non è solo quella usata a Roma per tosare l’erba a passo di pecora).

    

Da papà si potrebbe dire questo e molto altro. Ma parlare da papà a papà per far capire a un papà l’errore di usare malamente l’essere padre per rendere presentabile ciò che non può essere presentabile è un errore che non commetterò. E per questo ci permettiamo semplicemente di consigliare a Salvini di leggere una fantastica espressione usata ieri sul Corriere della Sera da una grande tennista oggi mamma: Serena Williams. E cosa ha detto la nostra Serena? Ha detto che da quando è genitore sua figlia “l’ha resa più umana”.

 

La scelta, per Salvini ma non solo per lui, in fondo è tutta qui: usare i figli per sembrare più umani, oppure essere più umani grazie ai propri figli. René Magritte, quando nel 1928 raffigurò su tela la sua famosa pipa, spiegò la sua opera con queste parole: “Chi oserebbe pretendere che l’immagine di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi, non è una pipa”. In un certo senso, con l’immagine del padre Salvini sta usando lo stesso trucco: “Chi oserebbe pretendere che l’immagine di un burbero padre sia quella di un burbero? Chi potrebbe accusarmi di essere un impuro con lo scudo da papà? Nessuno. Quindi, non sono un burbero”. Il filtro di Magritte era quello della tela. Il filtro di Salvini è quello del genitore. Il titolo del primo quadro lo conoscete. Per capire il titolo che rischia di avere il secondo quadro basta cambiare poco rispetto all’originale: “Ceci n’est pas un pirl”. Non ne vale la pena, detto da papà.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.