Donald Trump e Matteo Salvini (foto LaPresse)

La guerra linguistica dei populisti

David Allegranti

Negli Stati Uniti si dibatte su cosa fare dei tweet di Donald Trump. E in Italia con quelli di Matteo Salvini. I suggerimenti utili di George Lakoff

Roma. Che cosa fare dei tweet di Donald Trump? Il dibattito tra giornalisti, professori e opinionisti vari va avanti da mesi sui media americani, dove ci si chiede se rilanciare costantemente le esternazioni del commander in chief – che finiscono nei titoli di giornali e in tv, quindi nelle case e sui cellulari di milioni di americani – faccia solo il suo gioco oppure no.

 

La questione si ripropone oggi con Matteo Salvini, spregiudicato giocatore di poker mediatico, i cui post su Facebook e Twitter e Instagram dettano l’agenda politica del centrodestra ma soprattutto del governo, costringendo gli alleati del M5s ad andare al rimorchio. Si prenda la parola “censimento”, riferita ai rom, ripresa poi da Luigi Di Maio sui “raccomandati” della pubblica amministrazione da censire, a partire dai dipendenti della Rai.

 

George Lakoff, celebre linguista, famoso per il suo “Non pensare all’elefante”, ha scritto insieme a Gil Duran un pezzo sul Guardian per spiegare perché “Trump ha trasformato le parole in armi” e perché “sta vincendo la guerra linguistica”. Il ragionamento di Lakoff è inevitabilmente dedicato al presidente americano ma può essere esportato nel dibattito pubblico italiano. In “The Art of the Deal”, Trump usa alcune iperboli, verosimili ma non vere, sia positive (“great”, “terrific”) che negative (“a disaster”) che servono a descrivere il suo mondo diviso in due fra vincitori e perdenti. Vince chi si merita di vincere, perde chi si merita di perdere.

 

Nel lessico di Trump “c’è una gerarchia morale. Coloro che vincono sono migliori di quelli che perdono”. Nella società americana puntare sulla divisione del mondo in persone che hanno successo e persone che non ce l’hanno funziona. In Italia il leader della Lega la mette diversamente: dice che i migranti vanno in “crociera” e che la “pacchia” è finita. Roberto Saviano ha proposto di oscurare le dichiarazioni di Salvini. Eppure, dice il filosofo Luciano Floridi, non funziona: “Dilemma: con i matti, i violenti concettuali, i vandali del buon senso, gli ignoranti arroganti… non si può discutere, perché discutere significa prenderli sul serio (vale la pena discuterci) e a volte è proprio questo riconoscimento a essere il problema, vedi la polemica sui vaccini, le varie sciocchezze di Savini, le mattane di Trump, i terroristi dell’Intelligenza Artificiale/Terminator etc”.

 

D’altra parte, aggiunge Floridi “ignorarli, passare sotto silenzio, fare finta di niente, tapparsi le orecchie, significa lasciar loro campo libero, invitarli a sentirsi dalla parte di chi ha ragione, non è tolleranza ma apatia o indifferenza verso la distruzione della ragione, ed è irresponsabile verso chi ascolta o osserva e magari finisce per sentire solo le strombazzate dell’idiozia. Ma allora che si può fare? Due cose. Soluzione, a tenaglia: A) fornire informazioni buone per lasciare alle sciocchezze meno spazio, senza ingaggiare una discussione e poi, cosa crudele, ma necessaria… B) prenderli in giro ma non sul serio, ironizzare senza scendere al loro livello fino a che non diventano rossi in volto, il tutto con calma, e freddezza socratica, se ci si riesce. Allo scempiato che dice corbellerie piace la discussione, il confronto violento, magari le urla e le parolacce, ma odia l’esplicito non essere preso sul serio ed essere mostrato come una sorta di strano fenomeno, di cui si può soltanto ridere”. Lakoff e Duran sul Guardian hanno dato qualche suggerimento ai giornalisti per raccontare Trump senza fare il suo gioco. Ignorare, come dice Saviano, non è naturalmente la soluzione. Tra i consigli utili, invece, c’è l’invito a non diffondere le bugie sparandole nei titoli di giornale solo perché portano clic. Anche perché non è detto che le “le persone automaticamente sappiano che sono bugie. Le persone hanno bisogno di sapere che il presidente sta mentendo, ma bisogna stare attenti a ripetere le bugie perché ‘una bugia ripetuta abbastanza spesso diventa una verità’”.

 

Contestualizzare le affermazioni di Salvini, dire che mente e spiegare perché mente è compito, appunto, dei giornali. “Lo schema di Salvini – osserva Guido Vitiello – è grosso modo lo stesso di Berlusconi, che anni fa lo psicologo sperimentale Alessandro Amadori tentò di spiegare attraverso le teorie di Gregory Bateson sulla schismogenesi”. Il libro in questione è “Mi consenta” (Scheiwiller). “Il gioco della demonizzazione è stato proprio questo: innescare un conflitto ideologico-verbale con le forze di sinistra – scrive Amadori – portarle alla controreazione eccessiva, bloccarsi di colpo per spiazzare gli avversari, poi riprendere il conflitto, poi bloccarsi di nuovo, e così via, all’infinito, sino a ‘mandare in confusione’ la controparte (che oltretutto ha finito per sembrare quella veramente orientata a demonizzare l’avversario: la vittima si è trasformata in persecutore!)”. Che il cattivismo salviniano possa essere battuto con l’ironia? Magari fosse così facile.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.