Matteo Salvini (foto LaPresse)

Ecco come Salvini tiene al guinzaglio la legislatura

Salvatore Merlo

Di Maio, Meloni e il Cav. Ministeri e campagna elettorale

Roma. Con l’aria di volpe consumata nell’arte, adesso si muove nei cunicoli che collegano la Lega al centrodestra con la stessa agilità con la quale attraversa quelli che invece lo collegano al M5s. “La parola d’ordine non è incassare tutto”, dice. “Ma dominare la situazione”, aggiunge. E d’altra parte Matteo Salvini non ha il culto dei raccordi, della riflessione, della minuzia, ma governa – qualcuno dice tiranneggia – la maggioranza e pure un pezzo dell’opposizione grazie a un fiuto esatto delle debolezze dei suoi alleati, quelli che stanno al governo con lui, come Di Maio, e quelli che dal governo sono esclusi, come Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi.

  

Nelle ore decisive per la formazione del governo, Meloni aveva chiuso un patto d’onore con Salvini. “Va bene Matteo”, diceva Giorgia, “siamo d’accordo. Entriamo al governo. Parlane con Di Maio. Ma devi farmi una promessa solenne: o stiamo dentro insieme o stiamo fuori insieme”. E Salvini: “Te lo prometto”. Così, in effetti, poche ore dopo, seduto di fronte a Di Maio, in una stanza dei gruppi parlamentari di Montecitorio, Salvini la mette lì, imperativa e categorica: “Con noi entra anche Fratelli d’Italia”. Ma Di Maio resiste. E allora Salvini insiste. Finché l’altro, con gli occhi rossi e le cravatta slacciata: “Senti. Se prendiamo Meloni non tengo i miei, chiedi qualsiasi altra cosa. Quello che vuoi”. E Salvini, con l’aria del cacciatore che vede la preda entrare ignara nella trappola: “Va bene”. 

   

Così adesso, persino i suoi amici, quelli con i quali governa e quelli con i quali sta pure mezzo all’opposizione, lo descrivono animato da una sorta di audacia sfrontata e tranquilla, una completa mancanza di scrupoli e la convinzione che sia sufficiente allungare una mano per cogliere un’occasione. La sicurezza è fiorita con il successo, quel trionfo nel quale il saggio Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e vicesegretario della Lega, riconosce però l’insidia dell’euforia e della tracotanza, tanto da aver suggerito al suo Capitano di tenere sul comodino, come ammonimento, una foto di Matteo Renzi, “due anni fa era al quaranta per cento, ricordatelo”. E infatti: “Sai come lo chiamo io Salvini?”, diceva qualche giorno fa a un amico Fabio Rampelli, il capogruppo di Fratelli d’Italia: “Io Salvini lo chiamo Er Bugia”. Promettendo un posto di governo a Meloni e pretendendolo da Di Maio, Salvini ha messo nel sacco entrambi.

 

Per lui calcolo e decisione si danno nello stesso arco temporale: istantaneamente. Salvini si protende in avanti, con quel movimento carnivoro che dà al suo viso un’espressione selvatica e… zac! Con un rischio, però, almeno nei rapporti con i Cinque stelle, come si capiva già martedì dalla conversazione animata tra Stefano Candiani, capogruppo vicario della Lega in Senato, e un senatore del M5s poco persuaso. A chi andrà il Copasir? A chi la presidenza della Vigilanza Rai, davvero a Forza Italia o invece al Pd come preferirebbero i grillini? E le deleghe di governo ai servizi segreti? E quelle alle telecomunicazioni? E l’editoria? “Guarda che non vi vogliamo fregare”, diceva Candiani, “abbiamo solo più esperienza, dovete fidarvi, noi lavoriamo per il bene del governo, cioè il bene di tutti”. Fidarsi, appunto, ecco la parola.

 

“Non mi fido di Salvini” è per esempio la litanìa di Silvio Berlusconi, ad Arcore, il Castello in cui si respira un’atmosfera di segreta coercizione, con discorsi, progetti e calcoli che hanno un suono tra il rassegnato, il pugnace e il furbesco: duri con la Lega in Senato, dove i numeri sono più scarsi, e invece morbidi e accomodanti alla Camera, dove la maggioranza è più salda. Concavi di qua, convessi di là, perché Salvini ha il coltello dalla parte del manico, e ha pure dimostrato di saperlo maneggiare. “Ci sono almeno dodici senatori di Forza Italia pronti a venire con noi”, raccontava Gian Marco Centinaio, il ministro dell’Agricoltura. E insomma, preso per il gomito dalla buona sorte, Salvini tiene tutti al laccio delle sue promesse, minacce e blandizie. Sta con Di Maio ma tiene un piede nel centrodestra, oggi è maggioranza con i 5 stelle e domani chissà. Quindi, mentre tesse la trama di un governo che duri cinque anni, versa pure parole di miele all’orecchio di Niccolò Ghedini, che gli tiene buono il Cavaliere: “Domani in maggioranza potreste entrare voi, con Meloni e un pezzo dei 5 stelle che non vuole tornare alle elezioni”. Spettinato e garibaldino, non ha smesso di fare campagna elettorale neanche per un minuto, e lunedì sera, a Fiumicino, dopo un breve discorso a favore del suo candidato sindaco, ha annunciato: “Adesso selfie per tutti”. E si è concesso alla folla. Per lui è tutto possibile, tutto aperto, ogni strada percorribile.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.