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Qui solo il peggio del populismo

Nel bagaglio dei gialloverdi manca quel decisionismo che piace al popolo

Secondo un rapporto di Bloomberg Economics, nei paesi del G20 (più la Spagna) il 41 per cento del pil è rappresentato da partiti populisti, rispetto al 4 del 2007. Nello stesso periodo i partiti democratici tradizionali sono scesi dal rappresentare l’83 per cento della ricchezza al 32. Le percentuali sono date dagli elettori moltiplicati per il pil pro capite; escludendo autocrazie come Russia, Cina, Arabia Saudita, Turchia dove nulla è cambiato, a fare la differenza sono le vittorie dei repubblicani americani versione Donald Trump, e dei grillini e leghisti italiani di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Bloomberg, che i nuovi padroni politici dell’Italia certo considerano espressione di poteri forti, coglie però un aspetto positivo: “L’efficacia e la rapidità dell’azione di governo”. Cioè il decisionismo. Questo forse si può dire, nel bene e nel male, di Trump. Non certo dei primi atti del tandem Salvini-Di Maio. Atti che già smentiscono la propaganda che li ha portati alla vittoria e il famoso “contratto per il cambiamento”.

 

Le retromarce più vistose riguardano la Lega, che ha ottenuto la leadership dell’ex centrodestra con tre promesse: il rimpatrio immediato di 500 mila clandestini e lo stop agli sbarchi; la flat tax (che flat non è) con due aliquote al 15 e 20 per cento; lo smantellamento della legge Fornero per andare tutti in pensione prima. Nonché, come i 5 stelle, cambiando tutto ciò che era stato fatto prima. Appena arrivato al Viminale, Salvini ha dato atto del buon lavoro del predecessore Marco Minniti: in effetti sarà difficile ottenere un’ulteriore riduzione dell’80 per cento degli sbarchi. E si è accorto che rimandare a casa gli irregolari comporta una complessa opera diplomatica e fondi adeguati: intanto ha litigato con la Tunisia, unico paese ad avere un accordo di rimpatrio. La riduzione delle tasse è stata già ridimensionata alle sole imprese per l’anno prossimo; per i cittadini se ne riparlerà tra due anni, in modo graduale e dopo la “pace fiscale”, cioè un maxicondono. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che populista non è, aveva suggerito di lasciar scattare gli aumenti Iva, magari modificandone le aliquote, e spostare il prelievo dalle imposte dirette, largamente evase, alle indirette. Inizialmente i consumi ne avrebbero sofferto, ma la ricetta aveva un senso. Invece, flat tax rinviata e solite manovre di per non bucare il deficit pubblico. Ancora più clamorosa è la marcia indietro sulla legge Fornero, che pur con i suoi difetti ha evitato il default della previdenza e del debito. Salvini, cavalcando la retorica dei 67 anni si era guardato bene dal considerare che l’età effettiva di pensionamento è di 62. Ora l’ultima ipotesi di modifica riguarda quota 100, cioè almeno 64 anni di età e 36 di contributi. Insomma, lo “stop Fornero” potrebbe mandare in pensione due anni più tardi. Poi ci sono le infrastrutture, sulle quali assieme all’integrazione in Europa e nell’euro si è basato il buongoverno dei leghisti non salviniani come Roberto Maroni, Luca Zaia, il sindaco di Genova, Marco Bucci, e del centrodestra alla Giovanni Toti: la promessa di non lasciare il ministero in mano a un grillino pronto ad accogliere le istanze No Tav e No Tap, è durata lo spazio di una settimana. Ovviamente anche i 5 stelle sono scesi dal pero delle promesse mirabolanti: il reddito di cittadinanza è per ora (fortunatamente) ridimensionato a un potenziamento dei centri per l’impiego, con 50 mila assunzioni pubbliche a un costo già lievitato dai due miliardi previsti. Ma essendo i grillini inaffidabili per definizione, e con i loro 40 mila attivisti governati dagli algoritmi della Casaleggio Srl, la sorpresa è minore (a Roma si è perso il conto del via vai di assessori, i successi del Campidoglio sono sotto gli occhi di tutti). Il vero patatrac lo rischia Salvini. Dal “non vedo l’ora di andare in ufficio e cambiare tutto” a “si fa quel che si può e non tutto era da buttare”: qualcuno potrebbe chiamarla una truffa.

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