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Passeggiate romane

Nel Pd alla ricerca del candidato “nuovo” è già tempo di preparare le liste

Come andrà a finire il dibattito che si è appena avviato dentro il Partito democratico?

Se le elezioni fossero veramente a luglio, per Matteo Renzi non ci sarebbe altra scelta che dire di sì alla decisione di andare alle elezioni con Paolo Gentiloni come frontman. Così volevano (e tuttora vogliono) Walter Veltroni, Romano Prodi e anche il segretario pro tempore Maurizio Martina. Ma dopo le dichiarazioni di Matteo Salvini lo scenario è cambiato. Certo le elezioni sembrano tuttora lo sbocco inevitabile ma non saranno in piena estate. Il che significa che c’è ancora tempo per la campagna elettorale. E i ragionamenti che vengono fatti a questo punto dai renziani non si incentrano più sul solo Gentiloni. L’idea è nuovamente quella di trovare un candidato premier più “nuovo”. Martina, però, resta fermo su Gentiloni. Il quale è pronto a scendere in pista convinto com’è che in certi frangenti non ci si possa sottrarre. “Per il bene del Pd e del paese”, spiegano i suoi. E in serata, ieri, nonostante la perplessità di molti renziani, è arrivata la benedizione pubblica anche di Matteo Renzi.

 

Come andrà a finire il dibattito che si è appena avviato dentro il Pd? E’ ancora troppo presto per dirlo. I renziani stanno soppesando tutte le possibili variabili. Quello che invece appare altamente scontato è il fatto che nel partito sia già in atto la guerra per le candidature. Le colombe renziane propongono di cambiare poco o niente nelle liste. E ritengono che, semmai, bisognerà dare più spazio alle altre componenti. Lasciare le liste intatte o quasi eviterebbe nuove guerre intestine con relativo spargimento di sangue in un momento in cui il Pd non gode di grande salute. Renzi fa sapere di non volersi infilare nelle beghe delle liste, ma in realtà, alla fine, anche a lui potrebbe andare bene questa soluzione perché continuerebbe in questo modo ad avere il controllo dei gruppi parlamentari. Gli altri però non ci stanno. Maurizio Martina, Dario Franceschini, Andrea Orlando sono convinti che adesso occorra fare l’affondo per ridimensionare definitivamente l’ex segretario. Perciò vogliono mettere mano alle liste e non lasciare intatti gli equilibri delle attuali. Si profila perciò un nuovo braccio di ferro all’interno del Partito democratico.

 

E in questa fase così convulsa c’è chi, al Nazareno, ieri mattina pensava di poter far rientrare in gioco il Pd. Magari con i grillini che in questa fase appaiono indeboliti e profondamente indecisi sul da farsi. “Potrebbero accettare di fare un governo con noi e con Leu, e a quel punto, visto come sono messi, saremmo noi a lanciare un’opa sul Movimento 5 stelle e non viceversa”, erano i ragionamenti che venivano fatti ieri mattina. Sì, perché il Pd teme il voto come la peste. Secondo tutti i sondaggi che sono arrivati al Nazareno, infatti, nonostante il Partito democratico recuperi consensi (alla fine potrebbe prendere un 1,5 per cento in più rispetto alle scorse elezioni), il boom della Lega appare inevitabile. E se non si riuscisse a dare vita a un’alleanza che comprenda anche Liberi e uguali i rischi nei collegi sarebbero enormi. Con Leu invece il Pd conta di recuperare almeno un terzo dei 40 collegi di quelle che un tempo venivano considerate zone rosse. Ma gli scissionisti stanno alzando notevolmente il prezzo. Lo stesso Bersani, che sembrerebbe quello più propenso a un accordo, alza l’asticella. Anche perché l’idea del Pd è quella di un listone unico. Cosa che dentro Leu viene ritenuta inaccettabile almeno dalla maggior parte dei suoi dirigenti.

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