Matteo Salvini (foto LaPresse)

La rozzezza di Salvini si può curare senza patti con i vaffanculisti

Giuliano Ferrara

Istituzionalizzare la sfida tra popolo ed élite per rendere accettabile la lotta politica. E’ dura, ma sarebbe un progresso

Salvini ha una rozzezza di tono e argomenti repellente, un’efficacia demagogica che disturba, copia modelli tribunizi che detesto, la sua scorrettezza è come quella di Trump, farlocca e non credibile. Di più: siccome è vero quanto diceva Lucio Colletti, che dopo una certa età ciascuno è responsabile della sua faccia, il capo della Lega ha tratti pertinenti violenti e minacciosi, di un primitivismo per me umanamente insostenibile. A me piacevano facce come quelle di Emilio Colombo, Enrico Berlinguer, Arnaldo Forlani, Bettino Craxi, Giulio Andreotti, non ci posso fare niente. A questo giudizio consolidato aggiungo, dopo la sua prima vera prova sulla scena nazionale di una crisi maggiore, che Salvini ha una certa abilità politica, e da parte mia certo questo è un complimento, sia pure a doppia valenza, che induce a un riflesso di autodifesa e a una considerazione più spassionata. (Tralascio paragoni con il suo gemello attuale, Di Maio, che con tutta la sua banda di vaffanculisti e fascistelli mi sembra un fenomeno di pura asineria, e basta).

 

Ho visto il comportamento di Salvini e la sua finale, tracotante, uscita dal “contratto”, con il rifiuto, che chissà fin quando dura, di rieditare l’esperienza in funzione delle suppliche raglianti dei grillozzi. Ora è in bilico: il suo trumpismo sfacciato, evidente nella centralità che ha attribuito alla logica di rottura immediata e schiaffeggiante con l’Unione europea, che prende il nome dal professor Paolo Savona, e chissenefrega della mediazione con il presidente della Repubblica e dei mercati finanziari e della Costituzione e del pareggio di bilancio firmato Giorgetti, si corregge forse nell’assunzione, invece che di una campagna “per il governo del cambiamento” con la masnada anticasta, di una leadership del centrodestra, non quello classico, ovvio, ma quello che Salvini considera egemonicamente “suo”, ormai. Non si sa come butti, ma potrebbe succedere che il piano B europeo, non scattato con certi metodi trucidi e alleati trucidissimi nel loro opportunismo (impeachment e impingement, e traffici col Quirinale senza nemmeno scusarsi), venga sostituito da un piano B italiano e molto salviniano. Pro domo sua, ovvio. Meglio cercare di scalare la guida del governo a settembre-ottobre che fare da junior partner, per quanto più esperto e manovriero, in un’alleanza sorvegliata a vista da poteri costituzionali che bocciando il segnacolo Savona, con la crisi finanziaria galoppante che si sa, hanno dato un drastico avvertimento. Il 17 per cento gli sta stretto, adesso, e se uno voglia combinare qualcosa deve partire da Palazzo Chigi, magari con un plebiscito personale che compensi la debolezza storica in Italia degli esecutivi e con una maggioranza meno occasionale e contrattuale, che tenga conto della natura profonda della Lega nel nord sensibile ai danè e alla sicurezza cosiddetta, e a procedure nazional-padane che si distinguono dagli azzardi di spesa improduttiva sul fronte meridionale-clientelare.

 

Ripeto che sarei avversario di una soluzione di sfida all’Unione europea e di uso demagogico delle politiche fiscali e previdenziali, per non dire della caccia al negher, ma per farti capire, oh lettore, a che punto siamo arrivati, bè, ti confesso che un Salvini pur sempre primitivo il quale abbandoni metodo e follia del “contratto” per una istituzionalizzazione della protesta popolo versus élite lo considererei un progresso verso un quadro più accettabile di lotta politica, su una base di maggiore legittimità. E ho detto tutto.

       

Ps. Può essere che Salvini, diffidente delle elezioni a luglio, quando il nord è in vacanza a spendere i suoi solidi euro, e di una soluzione tecnica intorno a Cottarelli che Di Maio denuncerebbe come un Monti-bis, scelga lo scambio di cui si è parlato: Giorgetti a Palazzo Chigi-Savona a casa, facendo il governo stramaledetto del “contratto” in condizioni per la Lega ultrafavorevoli. Questo introdurrebbe un’ulteriore ambiguità in tutto il mio schema, che di per sé è già ambiguo come sempre la politica.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.