Cosa vuol dire il rischio Grecia

Redazione

Le assonanze con Atene 2015 e che fare per non ritrovarci la Troika in casa

Una coalizione di populisti di estrema sinistra e di estrema destra, una squadra di governo senza esperienza e senza competenze, un programma ricco di promesse farlocche il cui principale collante è l’assalto all’Europa, una propaganda incentrata sulle teorie del complotto dei poteri forti nazionali e internazionali: l’Italia del 2018, nel linguaggio, ricorda sempre più la Grecia del 2015, quando Alexis Tsipras arrivò al potere promettendo di spazzare via la Troika e il memorandum, ottenere la cancellazione del debito, strappare risarcimenti di guerra all’odiata Germania, riassumere migliaia di lavoratori pubblici licenziati, aumentare le pensioni e gli stipendi, il tutto grazie alla minaccia di Yanis Varoufakis di far saltare per aria la zona euro. Come allora con Atene, i partner europei e gli investitori guardano con occhi increduli ma tutto sommato benevoli a ciò che sta accadendo a Roma. Il commissario Pierre Moscovici ieri ha promesso una “cooperazione” con il futuro governo presieduto dall’esecutore Giuseppe Conte, “basata sul dialogo, la comprensione e la reciprocità” perché la “legittimità democratica” va rispettata. Più o meno le stesse parole erano state usate con Tsipras nel gennaio del 2015, quando l’allora presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, volò ad Atene per convincerlo a normalizzarsi un minimo e il presidente dell’Eurogruppo, Jeroem Dijsselbloem, offrì un ramoscello d’ulivo a Varoufakis. Tutto inutile. Il pragmatismo non fa parte del “Paese delle Meraviglie” offerto dai populisti. Né ad Atene, né a Roma. In Italia come in Grecia, gente ideologizzata, che si è formata nell’assemblearismo universitario o alla “Gabbia”, non vuole compromessi con il nemico. O vittoria sull’Ue, o morte.

 

L’esperimento populista ateniese non si concluse bene per il suo leader, ma finì ancora peggio per i greci. Dopo sei mesi di guerra ai creditori internazionali e un referendum contro il memorandum, Tsipras fu costretto a una clamorosa marcia indietro appena prima dell’uscita dall’euro, dopo essersi visto tagliare la liquidità dalla Bce ed essere stato costretto a imporre i controlli sui capitali. Il risultato per i greci fu più recessione, più debito, più tasse, più austerità e più file ai bancomat. I populisti pignoli diranno che l’Italia non è la Grecia, ma hanno solo parzialmente ragione. A Roma non c’è (ancora) la Troika con la possibilità di tagliare gli aiuti finanziari necessari a pagare gli stipendi. La Bce non può (ancora) staccare la spina sui titoli italiani imponendo di fatto i controlli sui capitali. Ma, se il presidente della Repubblica non dovesse riuscire a evitare un Varoufakis al ministero del Tesoro e delle Finanze, per grecizzarsi basta poco. “L’Italia e i politici italiani mi ricordano la Grecia, Syriza, Tsipras e Varoufakis”, ha scritto in una nota l’analista di Fidentiis, Gianluca Codagnone: “Non importa la squadra di ministri o il primo ministro, i partiti italiani che hanno la maggioranza hanno costruito il loro consenso su una piattaforma antieuropea. Così, come in Grecia, non saranno le critiche dei burocrati a fermarli”. Secondo Codagnone, “M5s e Lega dovranno essere sconfitti dai mercati prima di rinunciare, perché (altrimenti) perderebbero la faccia e il sostegno delle loro basi elettorali se rinunciassero alla battaglia contro l’Europa”. La Commissione può aver scelto di non aprire una procedura per deficit eccessivo per evitare un conflitto con l’Italia populista. Ma i suoi numeri su debito e deficit rivelano la realtà: l’austerità e le riforme saranno molto più dolorose per gli italiani quando saranno imposte dai mercati. Speriamo che il premier Giuseppe Conte possa aiutare i populisti di governo a seguire l'esempio di Tsipras, con la sua conversione, prima che sia troppo tardi.

Di più su questi argomenti: