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La Poetica di Aristotele è il filtro giusto per leggere questa tragedia politica

Guido Vitiello

L’interludio tra le puntate del nostro melodramma preferito

Il paese del melodramma è piuttosto avaro di occasioni tragiche, e quando se ne intravede una all’orizzonte bisogna correre sui tetti ad ammirarla come un prodigioso fenomeno astronomico, una rara eclissi di sole; purché, beninteso, si abbia l’accortezza di indossare gli occhiali giusti. Per fissare le cronache di questi giorni senza ustionarsi la retina consiglio di ricorrere a un filtro molto antico, la “Poetica” di Aristotele e la sua dottrina della tragedia. Solo così potremo osservare chiaramente la peripeteia, la catena di azioni che produce l’opposto di ciò che avrebbe voluto, la catastrofe provocata dalle migliori intenzioni; solo così arriveremo preparati al momento dell’anagnorisis, il riconoscimento o discoprimento della terribile verità, il cadere della benda dagli occhi dell’eroe quando è ormai troppo tardi per rimediare. L’errore o la colpa dei nostri eroi tragici – la loro ostinata amartia, per usare la parola aristotelica – è stato credere che il M5s fosse altra cosa da quel che è, da quel che è sempre stato e da quel che ha sempre sbandierato di essere.

 

Al banco delle tre campanelle apparecchiato da Casaleggio e compari ciascuno si è fatto truffare come il cuore gli dettava, secondo il suo personale wishful thinking e il suo tasso alcolico di “falsa coscienza” marxiana. C’è chi ha voluto vedere in quel mostriciattolo politico-aziendale l’avanguardia di una nuova sinistra di popolo, chi le moltitudini in marcia, chi un nuovo Pci di Berlinguer, chi i compagni di lotta per i “beni comuni”, chi un centro moderno di moderati arrabbiati. I chierici di Libertà e Giustizia, maestri della traveggola e della cataratta, sono arrivati a scambiare una banda mercenaria in odore di eversione per un esercito di paladini della Costituzione. Tutto si è svolto secondo i crismi di una tragedia antica. Come Deianira nelle “Trachinie”, che crede di aver mandato al marito infedele Eracle un filtro d’amore per riconquistarlo, salvo scoprire che si trattava di uno strumento di morte, così i tanti benintenzionati che si sono illusi di usare i grillini per richiamare nel talamo della vera sinistra i fedifraghi del Partito democratico si ritrovano adesso stritolati nella camicia di Nesso velenosa e infuocata del governo tra le due estreme destre italiane. “E’ un terribile errore”, ha scritto Tomaso Montanari, il più schiettamente tragico di questa famiglia di eroi tragici, a commento della nuova alleanza; senza accorgersi, come Edipo, che il terribile errore lo aveva commesso lui nel prendere fischi per fiaschi.

 

E’ suonata per tutti questi eroi dabbene l’ora solenne dell’agnizione tragica, ma sappiamo già che durerà ben poco, e al parricidio del Pd e all’incesto con la Casaleggio non seguiranno accecamenti o esilii nella ridente Colono. Il fatto è che Sofocle si presta male al nostro palcoscenico politico, se non come interludio o come entr’acte; qualche istante di sgomento, una scrollata di spalle e si è subito pronti a voltare le spalle alla tragedia per riprendere il filo dell’eterno melodramma, con le sue trame dozzinali e i suoi personaggi-cliché. Ecco allora tornare in scena la Vittima Innocente, l’ingenuo grillino che un’infame spinta ha gettato, per disperazione, “tra le braccia di Salvini” (lo ha detto ieri Roberta De Monticelli, occasionale corifea di un coro affollatissimo); ecco di nuovo le macchinazioni di Renzi e della bella Boschi, perfetta coppia drammaturgica di villain, descritti dai retroscenisti – i veri eredi degli autori ottocenteschi di melodrammi e feuilleton – mentre architettano il vile tradimento e poi ridono, scellerati, banchettando a pop corn; ecco nella penombra il Malfattore vegliardo, il delinquente naturale che tiene avvinti al suo ricatto i protagonisti esigendo oboli indicibili; ed ecco infine rispuntare l’attesa del Vendicatore, che verrà a raddrizzare i torti: avrà il volto della nuova società civile dei ventenni e dei trentenni, invocata da Paolo Flores d’Arcais come ultimo deus ex machina, per il cui ingresso in scena ha messo già a disposizione l’attrezzeria teatrale di MicroMega. L’abbaglio potrà allora cominciare daccapo, fino alla prossima eclissi, al prossimo interludio tragico tra le puntate del melodramma.

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