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Di Maio e le occhiaie di governo

L’incontro tra Di Maio e Salvini, l’offerta a Meloni e il profilo del premier che è un ghirigoro. Perché la lista dei ministri toglie il sonno al grillino senza classe dirigente

Roma. Luigi Di Maio esibisce lo stress sotto forma di due righe nere sotto gli occhi, mentre Salvini si lamenta dei giornalisti e delle telecamere che lo seguono, “oggi non ho nessun giubbotto speciale da indossare”, dice ringhiando. E così, dopo essersi incontrati ieri mattina alla Camera, il capo politico del M5s e il segretario federale della Lega finiscono con il rivelare quanto le cose siano meno semplici di come forse loro stessi se le aspettavano. Si rivedranno oggi a Milano. Ma al di là del programma – al quale lavorano le intendenze – a togliere il sonno a Di Maio e il sorriso a Salvini è la composizione del governo. 

 

Ci sono i veti, gli incroci di ubbie, i desideri, le fantasie intorno al nome del presidente del Consiglio, che dev’essere una figura “terza”, “di alto profilo”, e però “non troppo alto”, “non troppo autonomo”, ma che vada bene a Mattarella e non faccia spaventare l’Europa e l’America… Uno tipo Giampiero Massolo, che è stato contattato dai cinque stelle. Ma poi ci sono da individuare, per lo meno all’ingrosso, anche i ministri. Un lavorone per Di Maio e Salvini. Anche perché la prima cosa da capire è se Giorgia Meloni, che ieri Di Maio ha incontrato alla Camera, sarà della partita o meno. L’ingresso di Fratelli d’Italia in maggioranza cambierebbe equilibri e rapporti di forza, anche nella composizione della lista dei ministri. “Giorgia ci parla quasi tutti i giorni al cellulare con Di Maio”, racconta Ignazio La Russa, mentre a Montecitorio, in Transatlantico, spiega la situazione politica a dei giovani e inesperti parlamentari: “Fosse per me al governo non ci andremmo. Ma io sono un vecchio, legato a certi codici antichi”. Senza Fratelli d’Italia, la nuova maggioranza di M5s e Lega è traballante: una trentina di voti di scarto alla Camera, e solo uno al Senato. Per questo Di Maio, che prima aveva immotivatamente inserito Giorgia Meloni nel paniere degli impresentabili, assieme a Silvio Berlusconi, adesso ha iniziato delle manovre di timido corteggiamento. Mentre, allo stesso tempo, Matteo Salvini tenta di convincere Niccolò Ghedini di persuadere a sua volta il Cavaliere a votare la fiducia, “almeno all’inizio”.

 

“Speriamo di chiudere il prima possibile perché se non si chiude si torna al voto, ha sibilato Di Maio ai giornalisti che ieri lo accompagnavano in trattoria, subito dopo l’incontro con Salvini. E nella vaghezza di quel “il prima possibile” c’è tutta la fatica e la tragedia che in queste ore sta vivendo il Movimento cinque stelle che deve individuare – il calcolo è fatto per difetto – all’incirca una decina di ministri, una trentina di vice e sottosegretari, una decina di presidenti di commissione, più una pletora di capi di gabinetto, figure tecniche, responsabili del legislativo, tutte figure essenziali per la composizione del governo e che – per difetto – complessivamente sono un centinaio di persone. “Ma le abbiamo cento persone?”. “No”. E anche così si spiegano le occhiaie di Di Maio, che ha speso la prima fila degli eletti del Movimento cinque stelle negli incarichi parlamentari: presidente della Camera, vicepresidenti, questori d’aula. Gli rimangono, tra quelli con un minimo d’esperienza, pochissime persone, all’incirca dodici: Crimi, Castelli, Buffagni, Di Stefano, D’Incà, Fantinati, Lezzi e qualche altro.

 

“E non pensate che si possa governare mettendo i tecnici”, è stato il suggerimento arrivato a Di Maio, che ha infatti già archiviato praticamente per intero la squadra dei ministri presentati in campagna elettorale e consegnati (sotto forma di lista) nelle mani del segretario generale del Quirinale Ugo Zampetti. Dei dodici “fanta” ministri in due hanno certamente ricevuto una chiamata: Paola Giannetakis e Lorenzo Fioramonti, solo che entrambi sono stati retrocessi a sottosegretari. “Al governo ci vogliono anche dei politici”, ha detto a un certo punto Vincenzo Spadafora, “gente che obbedisce”. Un bel problema perché non ce ne sono abbastanza, e anche per questo è cominciata una specie di gara – in certi ambienti – ad accreditarsi presso il mondo a cinque stelle, che forse spaventa meno della Lega di Salvini perché, come dice un vecchio imprenditore e noto finanziere, da sempre vicino alla sinistra, “questi ragazzotti cinque stelle sono scalabili e influenzabili. Mentre la Lega una classe dirigente ce l’ha. Orrenda. Ma ce l’ha”.

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