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Come il Pd può provare a sfruttare l'“occasione” di un governo populista

David Allegranti

“Con l'esecutivo Lega-5 stelle abbiamo la possibilità di essere l’unica alternativa”

Roma. “Se si fa il governo Lega-5 stelle il Pd ha l’occasione di diventare il luogo della ricostruzione di un’alternativa progressista e moderata al populismo estremista. Però solo a condizione che i suoi principali protagonisti firmino un trattato di pace, sul modello di quello delle città greche per combattere l’impero persiano. Altrimenti saranno spazzati via tutti”. L’immagine, regalata al Foglio, è di Giuliano da Empoli e descrive perché il Pd potrebbe trarre dei vantaggi dalla nascita di un governo populista, antieuropeo. C’è anzitutto una questione di posizionamento strategico: se il possibile governo giallo-verde prendesse vita, diventerebbe naturale imboccare la strada della “responsabilità”. Naturalmente, il Pd dovrebbe ridefinire il suo profilo dopo settimane di smarrimento. Per questo c’è bisogno di tempo e il Pd può solo sperare che il nuovo possibile esecutivo populista duri il più a lungo possibile. “Abbiamo tempo per fare un congresso di ricostruzione”, dice al Foglio Matteo Ricci, responsabile enti locali del Pd, secondo cui il partito può avvantaggiarsi dallo stare all’opposizione di questo governo. “Di certo è la cosa più coerente”, dice Ricci. “E alla lunga la coerenza paga”. 

 

“Per il paese – riprende Ricci – è uno scenario negativo, ma del resto così hanno votato gli italiani. Adesso devono dimostrare di saper fare. Urlare e parlar male non basta più. Se faranno il governo noi avremo una lunga traversata da fare, ma costruiremo l’alternativa riformista ai populisti”. Certo, difficile esultare troppo, dice Piero Fassino al Foglio, anche se in giro c’è chi lo fa. Eppure, commenta Fassino, “mi hanno sempre spiegato che prima del partito viene l’interesse dell’Italia. E questa soluzione è la più pericolosa perché è quella che espone il paese più a rischio, mettendolo nelle mani dei due populismi”. Aggiunge Andrea Romano, direttore di Democratica: “Se il governo giallo-verde si realizzasse, sarebbe la logica conseguenza del voto del 4 marzo. Un esito infausto per il paese, perché sono convinto che le scelte politiche di quel governo andrebbero contro gli interessi dell’Italia e del suo futuro. Ma l’esito infausto di un percorso democratico che come tale deve essere insieme rispettato e combattuto”. L’opposizione a questo governo, aggiunge Romano, “avrà un’enorme responsabilità: contenere i danni, difendere gli interessi nazionali e mostrare agli italiani che un’alternativa esiste e sta lavorando per il bene del paese preparandosi a governare. In una frase: rispettare gli elettori che hanno votato destra e Cinque stelle, combattere il governo nato da quelle scelte parlando a tutta l’Italia”.

 

Emanuele Fiano è convinto che “il Pd, sempre che ci sia un governo destro-populista, deve fare opposizione dura senza sconti, nel merito, preparata e di proposta. Se porterà vantaggi non lo so, lo decideranno gli elettori. La nostra nobilitate si parrà nel modo e nel merito con cui faremo opposizione. Ma non dovremo farla solo nell’Aula”. Insomma, ammette l’orlandiano Antonio Misiani, “non sarà una passeggiata, non illudiamoci di recuperare il consenso perduto solo attraverso il nostro posizionamento parlamentare. Il Pd va rifondato, va ricostruito da cima a fondo. E lo stesso vale per il centrosinistra. La saldatura Lega-M5s farà male al paese e rischia di metterci all’angolo in tante elezioni locali, se non ci rialzeremo in fretta”. C’è poi la “questione Renzi”. L’ex segretario del Pd ha tempo per capire come fare per tornare al centro del dibattito pubblico dopo le dimissioni da capo del partito e settimane in cui ha alternato silenzio a precise prese di posizione (come quella sul No al governo Pd-Cinque stelle). Intanto, osserva il politologo Marco Tarchi, “Renzi, con il suo solito metodo autocratico e mediatico, ha ‘consacrato’ la candidatura di Gentiloni. Mi sembra il classico taglio del nodo gordiano, ed è una mossa che metterà in difficoltà i suoi avversari interni, anticipati e presi in contropiede in quella che si preannunciava come la loro mossa più probabile (e prevedibile). Così facendo, oltretutto, Renzi congela di fatto la questione-segreteria, anche se l’assemblea nazionale pare chiamata ad affrontarla. Se tutto questo servirà a proteggere il Pd dal serio rischio di un ancor più severo ridimensionamento, è dubbio, ma nella partita interna è un punto a vantaggio dell’ex presidente del Consiglio”. Anche perché gli avversari interni di Renzi finora non hanno dato grande prova di essere molto competitivi, a parte su Twitter.

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.