Maurizio Martina (foto LaPresse)

“E ora le liste chi le fa?”. I timori del Pd per il voto anticipato

David Allegranti

In caso di ritorno alle urne, al Pd (renziani compresi) piacerebbe candidare Gentiloni, che però non vuole

Roma. “E ora le liste chi le fa?”. La domanda gira fra i parlamentari del Pd, che vedono il voto anticipato come “una sciagura”, per dirla con Lorenzo Guerini (intervista al Messaggero di ieri). Anche perché un eventuale voto a luglio potrebbe inserirsi nella serie negativa elettorale che prosegue dal 4 marzo (politiche, regionali e, chissà, pure amministrative) e accentuare la profonda crisi del Pd. Non che un possibile voto a ottobre cambi di molto le cose. Una soluzione – per la composizione delle liste – potrebbe essere quella di affidarle a una gestione collegiale con i vari referenti delle correnti seduti attorno a un tavolo. Magari con alcuni dei dirigenti che ieri erano al Nazareno per il vertice mattutino pre-consultazioni con Sergio Mattarella (erano veramente tanti, in stile “chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”, sempre attribuita erroneamente a Kissinger: Maurizio Martina, i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci, Matteo Orfini, Lorenzo Guerini, Ettore Rosato, Marco Minniti, Carlo Calenda, Dario Franceschini, Andrea Orlando, Gianni Cuperlo, Piero Fassino e Giuseppe Antoci a rappresentare Michele Emiliano). C’è anche un’altra possibile soluzione, caldeggiata dai renziani: “Se si vota a luglio mi sembra complicata una soluzione diversa dal congelamento delle liste delle ultime elezioni (con qualche ritocco)”, dice un dirigente del Pd.

 

L’altra questione riguarda il candidato alla presidenza del Consiglio. Ormai siamo calati in un orizzonte proporzionalista, quindi parlare di “candidato del Pd” è improprio. “Il candidato premier di fatto non esiste più come figura”, osserva il deputato Fausto Raciti, segretario del Pd siciliano. Un front-runner però serve o, per dirla con Raciti, “una punta”. D’altronde il Pd, partito nato a vocazione maggioritaria, che nel suo statuto prevede espressamente la candidatura automatica del suo segretario a presidente del Consiglio, ha sempre avuto qualcuno che lo rappresentasse pubblicamente. Una guida, un “capo”. Finché c’era Matteo Renzi questo problema non si poneva. Adesso che non c’è più che cosa succede? In caso di voto super ravvicinato, l’unica carta possibile sarebbe Paolo Gentiloni. “Lei ne veda un altro?”, risponde retoricamente Piero Fassino a chi lo interroga. I renziani concordano, anche quelli di stretta osservanza, che diffondono i dati di un sondaggio Emg sulla fiducia nei confronti dei leader: Matteo Salvini è al 36 per cento, Luigi Di Maio al 33, Paolo Gentiloni al 30, Giorgia Meloni al 21, Silvio Berlusconi al 18, Matteo Renzi al 17. “Gli indici di fiducia parlano chiaro”, dice un parlamentare renziano. Gentiloni però fa sapere che l’unica cosa a cui si candida è “a ex premier”: la sensazione è che venga speso come candidato presidente del Consiglio non solo perché è davvero l’unico spendibile in questo momento ma anche perché così il segretario del partito può farlo qualcun altro. E qui si apre la terza questione: chi guida il Pd. L’assemblea è stata rinviata a data da destinarsi, ma potrebbe essere convocata prima dell’eventuale voto anticipato per scegliere il successore di Matteo Renzi. Nel frattempo il partito resta guidato dal reggente Maurizio Martina. I numeri in assemblea sembrano essere ancora a favore dei renziani, che in caso di sfida potrebbero riuscire a far eleggere un loro segretario. Magari Graziano Delrio.

 

C’è da capire invece che cosa farà il dinamico duo Beppe Sala, sindaco di Milano, e Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio. I due vogliono chiaramente offrire una alternativa al renzismo e il sindaco lo ha teorizzato nei giorni scorsi, proponendo dieci personalità per rinnovare il Pd. “ La mia non era una ricetta e nemmeno una provocazione – spiega – ma siccome dicono che non c’è una alternativa a Renzi io dico di trovarne una di gruppo, e io non chiedo nemmeno di farne parte perché non ho la tessera del Pd. L’unico suggerimento è quello di puntare sulla collettività”. Nel frattempo, aggiunge Sala, “cercherò di dare una mano ai sindaci che vanno a elezioni, perché qui parliamo del Governo ma ci dimentichiamo che fra meno di un mese si va a votare con elezioni molto delicate in grandi città e per quanto riguarda Milano anche in Comuni delicati”.

 

Eh già, le famose amministrative prima di un eventuale voto anticipato.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.