Alessio Villarosa (foto LaPresse)

“Potranno esserci aperture, anche sul premier”, dice Villarosa

Valerio Valentini

Il deputato grillino spiega perché “l’unica cosa che Mattarella lunedì non può chiedere al M5s è di andare con Berlusconi”

Roma. Per lui che i toni aspri da opposizione dura e pura, in questi anni, non li ha mai disdegnati, deve essere in qualche modo confortante il ritrovarsi finalmente, dopo mesi di doroteismo e cortesie istituzionali ostentate, nel Movimento 5 stelle che fu e che sembrava essersi geneticamente modificato: quello di lotta, quello del vaffa, quello delle crociate contro il sistema delle banche. E non a caso Alessio Villarosa ha atteso ben 55 giorni (“per non intralciare il lavoro di Luigi Di Maio”, dice lui) prima di tornare a parlare. Poi lo ha fatto, e lo ha fatto per dire che “l’unica strada possibile, ora, è quella del ritorno alle urne”. Scelta “obbligata”, dice al Foglio il deputato messinese del M5s. Obbligata, s’intende, non per errori commessi dal capo politico dei Cinque stelle. “Luigi ha fatto tutto il possibile. E se la tattica dei due forni può essere apparsa contraddittoria, non è certo colpa sua”. Il punto, spiega Villarosa, è che “purtroppo, o per fortuna, la nostra Costituzione prevede che sia il presidente della Repubblica a determinare certe dinamiche. E nel momento in cui Sergio Mattarella ha imposto a Roberto Fico di esplorare, con un mandato ben preciso, la possibilità di una convergenza tra M5s e Pd, cos’altro avremmo potuto fare?”.

 

Fosse dipeso da Villarosa, che nella commissione sulle Banche contro Matteo Renzi e Maria Elena Boschi si è scagliato con somma intransigenza, la via del dialogo coi dem non la si sarebbe neppure imboccata: “Per me e per tanti altri dei nostri, quella scelta è stata pesantissima. L’unica garanzia era sapere che comunque si sarebbe passati per un voto online, alla fine, e che dunque avremmo comunque potuto bocciare quell’accordo”. E però, se è vero che al Capo dello stato non si può dire di no, e se è altrettanto vero, come garantisce Villarosa, che “la stima e la fiducia verso Mattarella da parte nostra sono sincere”, allora cosa bisogna aspettarsi dalle consultazioni di lunedì? “Valuteremo – risponde il deputato – le richieste che ci verranno fatte. Ma di certo Mattarella sa bene che non può chiederci di sederci al tavolo con Silvio Berlusconi. Noi abbiamo posto una sola condizione: quella di non fare un governo con un condannato per frode fiscale che finanziava la mafia. E Mattarella non può chiederci di rinunciare a questa pregiudiziale”. Chiusura apparente, che in realtà potrebbe perfino preludere a tutt’altro. Perché in effetti Villarosa dice che “in caso di governo di tregua, o di scopo, promosso dal Capo dello stato, valuteremo”. Possibilista, insomma? “Lunedì avremo un’assemblea congiunta, dopo le consultazioni al Colle, e decideremo insieme”. Segno che qualcosa si muove, perfino su ciò che sembrava inamovibile, e cioè sulla pretesa di vedere la premiership affidata a Di Maio. “Il veto massimo resta su Berlusconi: sicuramente sulla sua persona, sul suo partito si vedrà. Per il resto potrebbero esserci aperture. Ma per avere conferme bisognerebbe chiedere a Luigi in persona, non a me”.

 

E insomma pare di capire che in verità la “scelta obbligata del ritorno alle urne” così obbligata, in casa grillina, ancora non viene considerata. Ma nel frattempo, come per una forma di prudenza preventiva, Villarosa non ci vede niente di male nel tornare a riusare i temi e i toni di un tempo. E forse anche per questo si è affrettato a condividere su Facebook l’intervista rilasciata da Grillo al mensile francese Putsch, quella in cui si ricomincia a parlare di “colpi di stato” e referendum sull’euro. Dice Villarosa: “Non c’è alcuna contraddizione: noi sui temi siamo rimasti coerenti. Siamo stati dialoganti con certi poteri, è vero, ma solo perché queste erano le richieste del presidente della Repubblica. Ma al di là dell’ammorbidimento dei toni, non abbiamo mai stravolto la nostra linea. E d’altronde, noi nelle fasi più delicate ascolteremo sempre gli iscritti. Se in questo dovessimo cambiare la nostra natura, allora sarei il primo a fare una valutazione personale per decidere, eventualmente, se lasciare il Movimento”. E quella sì, però, che sarebbe una scelta obbligata.

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