Luigi Di Maio (foto LaPresse)

M5s tanti programmi

Salvatore Merlo

Gli ammiccamenti di Casalino, l’imbarazzo di Casaleggio, e la strategia del belletto che non piace a Di Battista

Roma. Stava lì in bella vista il programma modificato del Movimento cinque stelle, come la lettera rubata di Edgar Allan Poe, uno di quegli oggetti che sfuggono alle perquisizioni più minuziose, e che semplicemente sono esposti agli occhi di tutti, passando inosservati, su un caminetto. “Adesso ci contestano di essere diventati un’altra cosa”, si lamentava ieri mattina Manlio Di Stefano, il deputato del M5s, l’esperto di esteri, lui che più di tutti aveva contribuito alla prima versione del programma, quella critica con gli Stati Uniti, con l’euro, con l’Alleanza atlantica, lui che ha vissuto emotivamente la sordina imposta da Luigi Di Maio, lui che soffre, e a stento si trattiene, proprio come il suo amico Alessandro Di Battista. Dibba il barricadero, Dibba l’inquieto, lui che invece non si trattiene affatto e da qualche giorno è per questo oggetto di caute rimostranze da parte di Di Maio e del suo alleato più fedele, Riccardo Fraccaro: “Possibile che Alessandro non capisca che adesso dobbiamo rassicurare?”. E allora eccolo il conflitto nel Movimento cinque stelle, che riesplode anche sul trucco del programma occultato e svelato dal Foglio. Ecco il conflitto tra gli incravattati e i descamisadi, tra quelli che nascondono il vaffa e la democrazia diretta (dall’alto) sotto il blazer – a me gli occhi! – e quelli che invece urlando rivelano il trucco e rovinano l’effetto di scena.

 

A metà pomeriggio, in Transatlantico, il capo dello staff del Movimento cinque stelle, Rocco Casalino, fa spallucce, quasi sbadiglia, “questa storia del programma mi annoia”, dice, “ci sono cose molto più importanti. C’è la grande politica, c’è la Siria, c’è il governo da fare…”. La comunicazione ufficiale del Movimento farfuglia, ammicca, allude, scivola. E però così lascia intendere il reale imbarazzo d’essere stati beccati, quello che un po’ ieri pare abbia sorpreso anche Davide Casaleggio, mentre era a pranzo con Luigi Di Maio, proprio di fronte al palazzo dei gruppi parlamentari di Montecitorio: “Ma che motivo c’era di fare un pasticcio del genere?”. Qualcuno, con solerzia, interpretando la fase politica immaginata proprio da Casaleggio, ha voluto dare una passata di fard, un ulteriore velo di cerone sulla natura del Movimento. Perché la sostituzione del programma di governo è come la grisaglia di Di Maio, è come la carrellata dei candidati “competenti”, come la mania di circondarsi di professori, è come le visite alle ambasciate, come gli interventi al Forum Ambrosetti, come i conciliaboli con gli investitori della City, come quelle “cortesie istituzionali”, così dice Di Maio, rivolte al presidente Sergio Mattarella, l’arbitro che appena li deluderà, c’è da scommetterci, tornerà a essere “una mummia”, “un ologramma di un ologramma”, “la proiezione di qualcosa di morboso”, come diceva Beppe Grillo.

 

“Adesso ci contestano d’essere diventati un’altra cosa”, si lamentava ieri mattina Manlio Di Stefano, che confonde il gioco di prestigio con la realtà, crede sul serio che il coniglio sia sparito nel cilindro. E non è l’unico. Come lui la pensano quasi tutti nel Movimento, compreso Di Battista, l’unico che però sfugge alle briglie dello staff, e allora parla, e spesso straparla, dice quello che pensa e pensa quello che forse gli dice anche Grillo: “Berlusconi è il male assoluto”, “Salvini è come Dudù”, sfracelli e rabbuffi, lampi e fuochi d’artificio, risalendo fino a quella dichiarazione antica e oggi così stridente: “Il giorno in cui il M5s si dovesse alleare con i partiti responsabili della distruzione dell’Italia, io lascerei il Movimento”. E allora gli amici di Di Maio s’interrogano, “possibile che Alessandro non capisca?”. Possibile che Alessandro non capisca la necessità del trucco? Di Maio sa benissimo che alla fine l’unica cosa che lo accomuna a Di Battista e a tutti gli altri Cinque stelle è in realtà l’unica cosa che conta, quella più importante. Ed è che tutti loro, invece di citare Marx, Hegel o Nietszche, come si sarebbe fatto una volta, si riconoscono in ben altri maestri, cioè nel messianesimo squinternato di Gianroberto Casaleggio. Solo che Luigi deve dissimulare. Mentre Alessandro, Manlio e gli altri proprio non ci riescono.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.