Silvio Berlusconi e Sergio Mattarella (elaborazione grafica Il Foglio)

Le ragioni del partito del non voto (da Mattarella a Berlusconi)

David Allegranti

I vincitori del 4 marzo non stanno crescendo nei sondaggi e i neoeletti non hanno voglia di rischiare la roulette russa del voto anticipato

Roma. Il ritorno alle urne viene brandito come un’arma, i due burbanzosi leader presunti vincitori – Matteo Salvini e Luigi Di Maio – dicono di essere pronti a tutto. Eppure il “partito del non voto” è trasversale e ha le sue ragioni. Anzitutto, c’è il presidente della Repubblica. Per questioni di responsabilità ma anche di impiego di risorse di denaro pubblico Sergio Mattarella non può mandare a nuove elezioni gli italiani che si sono espressi poco più di un mese fa. Anche perché i costi delle passate elezioni sono stati stimati fra i 300 e i 400 milioni di euro. Poi ci sono le motivazioni dei partiti. Silvio Berlusconi non ha interesse al voto anticipato, per il momento, anzi. Anche perché Forza Italia ha bisogno di ristrutturarsi, dopo il risultato tutt’altro che brillante del 4 marzo. Il tempo può solo aiutare. C’è un partito da ricostruire, come avvertiva sul Foglio qualche giorno fa l’ex presidente del Senato Marcello Pera. Epperò, osserva Gianfranco Rotondi, “non sta scritto da nessuna parte che alla fine non sia proprio Berlusconi a trarre un vantaggio da un voto anticipato addossato alla irresponsabilità dei ‘ragazzi’”.

 

Senza dubbio occorrerebbe un po’ di tempo prima di giungere a questa conclusione. Anche perché per ora, i mercati internazionali non danno segnali di irritazione per lo stallo italiano e ci sono precedenti in Europa di lunghe trattative (si pensi solo al quarto governo Merkel nato dopo 171 giorni dalle elezioni). C’è da dire anche che gli stessi presunti vincitori non stanno crescendo nei sondaggi. La supermedia di YouTrend dice che il centrodestra unito oggi vale il 37,5 per cento, appena mezzo punto in più rispetto alle elezioni del quattro marzo. I Cinque stelle sono cresciuti di più (34,2 per cento, alle elezioni hanno preso il 32,7) ma con questi numeri non cambierebbe niente. Non c’è stato insomma un effetto band wagon. Salvini ha poi l’occasione di egemonizzare il centrodestra, svuotando il serbatoio berlusconiano e facendo leva sulle elezioni regionali e amministrative (anche solo a livello meramente comunicativo).

 

C’è poi una questione decisamente poco politologica. I parlamentari neoeletti non hanno voglia di rischiare la roulette russa del voto anticipato. Persino dentro Forza Italia, dove temono di morire salviniani, c’è chi pensa che sia meglio non morire affatto.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.