Luigi Di Maio e Matteo Salvini (fotomontaggio Enrico Cicchetti)

L'indicibile disegno di Salvini e Di Maio

Claudio Cerasa

E se il litigio tra Lega e M5s fosse un bluff? Perché i veti di Di Maio su Berlusconi possono aiutare la Lega ad andare al governo senza il centrodestra nostalgico dei bei tempi con il Pd. La fase due di Mattarella e l’esserci senza esserci del Cav.

To be, but not to be. A giudicare anche dagli scambi di messaggi di ieri, la compatibilità tra i parlamentari del centrodestra e quelli del Movimento 5 stelle continua a essere difficile da immaginare. Il problema, lo sappiamo tutti, è sempre lo stesso: Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno un’intesa naturale ma mentre Salvini dice di non poter far nascere un governo senza Forza Italia, Di Maio dice di non poter far nascere un governo con Forza Italia. E ieri, i due lo hanno ripetuto in modo chiaro. Il leader della Lega ha detto che, a oggi, “ci sono il 51 per cento di possibilità di fare il governo tra centrodestra e 5 stelle”, mentre il leader dei Cinque stelle ha detto che “c’è lo zero per cento di possibilità che il movimento vada al governo con Berlusconi e con l’ammucchiata di centrodestra”.

 

A voler prendere in parola Salvini e Di Maio, a queste condizioni, nonostante le intese sulla Camera e sul Senato, sulle presidenze, sulle vicepresidenze, sui questori, sulle commissioni speciali, sulla carta non esisterebbe alcun governo capace di nascere. A voler leggere però con attenzione gli equilibri della nuova fase politica i capricci di Salvini e Di Maio acquisiscono un significato del tutto diverso se letti attraverso due lenti di ingrandimento che possono aiutarci a mettere a fuoco il percorso del capo della Lega e del Movimento 5 stelle.

 

La prima lente riguarda la differenza tra la fase uno e la fase due delle consultazioni. La seconda lente riguarda invece un tema che giorno dopo giorno non può più essere ignorato e se Di Maio e Salvini, pur dicendo cose diverse, volessero esattamente la stessa cosa? E se il leader della Lega e del Movimento 5 stelle, pur muovendosi su due binari separati, stessero semplicemente applicando a loro modo la famosa teoria del generale Von Moltke, ovverosia marciare divisi per colpire uniti? Apparentemente le posizioni di Salvini e Di Maio su Berlusconi non sono sovrapponibili.

 

Ma in realtà il gioco di Di Maio su Berlusconi potrebbe non essere così sgradito al leader della Lega per una ragione semplice da capire. Così come, grazie al veto di Di Maio, Salvini è riuscito a bloccare la partita di Berlusconi sulla presidenza del Senato (no Romani, sì Bernini, poi sì Casellati) allo stesso modo oggi, grazie al veto di Di Maio, Salvini ha la possibilità, senza dover passare per la violenta strada del tradimento politico, di allontanarsi da Berlusconi, di fare scouting tra i parlamentari di Forza Italia, di separare la Forza Italia nostalgica dei bei tempi con Renzi da quella entusiasta dei bei tempi con Salvini e di riuscire a fare così quello che in fondo lo stesso leader della Lega sogna da una vita e che è dal 2012 che promette di fare: “La nostra gente non ne vuole sapere di Silvio Berlusconi.

 

La Lega ha avuto la forza e il coraggio di fare un passo avanti e attuare un bel ricambio generazionale. Sono sicuro che non c’è un solo elettore e un solo militante della Lega disposto a riscommettere su un’alleanza con Berlusconi”. Le parole che avete appena letto tra virgolette vennero messe nero su bianco proprio da Salvini il 16 luglio del 2012. Le cose poi sono andate diversamente ma oggi grazie all’alleanza con Berlusconi Salvini è il nuovo pivot del centrodestra ed è possibile che da questa posizione il leader della Lega – grazie ai veti di Di Maio – riesca a far digerire a Berlusconi quella che sembra essere l’unica strada in grado di garantire al centrodestra e al Movimento 5 stelle la possibilità di far partire un governo.

 

In poche parole: suggerire a Berlusconi di esserci senza esserci, di smetterla di provare a far nascere un governo dei perdenti guidato da Forza Italia e dal Pd, di accettare di far partire un governo con i giovanotti populisti per scongiurare nuove elezioni, di accontentarsi di condividere con la Lega e il Movimento 5 stelle alcuni ministri d’area e di investire su Salvini come garante di un centrodestra che fuori da Palazzo Chigi resta comunque unito.

 

To be, but not to be. Esserci, ma senza esserci. Questa chiave di lettura potrà però reggere ed essere utilizzata solo a condizione che durante il secondo giro di consultazioni il presidente della Repubblica passi, come è logico che sia, dalla fase dell’ascolto a quella dell’azione. E in questo caso, per il capo dello stato, passare alla fase dell’azione coincide con una scelta precisa: mettere i vincitori del 4 marzo non nelle condizioni di spiegare in che modo i loro possibili alleati dovrebbero essere responsabili (il Pd deve fare questo, la Lega deve fare questo, Forza Italia deve fare questo) ma mettere i vincitori semplicemente di fronte alle loro responsabilità. In altre parole: chi ha vinto ma non ha i numeri per governare deve accettare dei compromessi e chi non accetta i compromessi e fa perdere tempo all’Italia (ieri, tramite il Financial Times, è arrivato il primo avvertimento degli investitori stranieri) dimostra di essere poco adatto a governare. Se la svolta di Mattarella dovesse arrivare – e se l’intesa tra Di Maio e Salvini fosse solida come sembra – in pochi giorni tutti potrebbero rendersi conto che la formula del to be, but not to be è l’unica in grado di dare all’Italia un governo politicamente terribile ma non in contraddizione con i risultati del 4 marzo. Salvini e Di Maio oggi litigano e un po’ si incartano. Ma il loro litigio potrebbe essere parte di uno schema condiviso, al centro del quale c’è una traiettoria che Salvini sogna dal 2012: dare alla Lega la forza e il coraggio di fare un passo in avanti nel ricambio generazionale, trovando un modo soft per governare senza Berlusconi e senza la Forza Italia nostalgica dei bei tempi con il Pd ed essendo in cambio trattato da pari dal Movimento 5 stelle. Di Maio lo vuole senz’altro. Ma siamo proprio sicuri che lo voglia soltanto lui?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.