Maurizio Martina alla Direzione del Pd (foto LaPresse)

Il governo Mattarella

David Allegranti

Il Pd vota un documento per stare all’opposizione, ma comincia a parlare di “governo di scopo”

Roma. Forse il punto politico del Pd, in mezzo a questo guazzabuglio in cui mancano idee e soluzioni takeaway (come dimostra il tentativo, fallito, dei renziani di non fare il dibattito in Direzione), lo centra il giovane sindaco di Spilamberto, provincia di Modena, Umberto Costantini, membro della direzione nazionale in quota “millennials”: “Oggi – dice al Foglio – è facile far passare la linea ‘niente alleanze con Cinque stelle o Lega per fare il governo, stiamo all’opposizione’, per un discorso di diversità che abbiamo non solo con i programmi proposti, come nel caso della Lega, ma soprattutto con i soggetti che li propongono, come per il M5s, malgrado il loro sia un collage e quindi ci siano anche punti di convergenza”.

 

Insomma oggi è facile dire no a tutti, ma un domani? “Sarà difficile mantenere questa posizione anche fra qualche mese, nel caso in cui l’attesa di un governo diventasse estenuante. Nel caso in cui, insomma, non ci fosse una convergenza di Lega e Cinque stelle immediata”. Anche tra i “senior” l’ipotesi viene presa in considerazione. Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sembrano avere avuto un loro peso: “Serve senso di responsabilità, saper collocare sempre al centro l'interesse generale del paese e dei cittadini”, ha detto pochi giorni fa. Prima però c’è tutto un percorso da compiere: il Pd, che alla Direzione ha nominato, con Matteo Renzi assente, un reggente (Maurizio Martina) e ha annunciato una gestione collegiale del partito, terrà la sua assemblea entro un mese. Nel frattempo sfida Lega e M5s, invitandoli a formare un governo e spiegando che resterà all’opposizione. Solo che un governo Lega-M5s non conviene anzitutto a Matteo Salvini, il quale deve consolidare il suo 18 per cento, frutto anche di un consenso volatile. Anche perché che c’azzeccano i Luca Zaia con i Roberto Fico?

 

Lo stallo alla messicana potrebbe andare avanti a lungo ma potrebbe essere risolto con un governo di scopo. Tutti insieme. Come ha osservato ieri Gianni Cuperlo alla Direzione del Pd, “questo paese dovrà avere un governo. Noi non dovremo fare la stampella di nessuno ed è giusto che la parola passi ai vincitori, ma non credo che si debba escludere la terza forza del Parlamento della Repubblica dal compito che deriva dalle urne e che è fare politica: usare il consenso per cercare lo sbocco possibile per evitare una parabola deleteria per l’Italia, anche con l’ipotesi di un governo di scopo che si rivolga al complesso degli schieramenti con un programma limitato e poi il ritorno alle urne. Ma su questo la discussione si aprirà e il tempo dirà”.

 

L’idea – e questa è una notizia – non dispiace ai renziani. “E’ uno scenario solo teorico – dice al Foglio Andrea Romano, fresco vincitore nel collegio di Livorno, la “Bastiglia” del M5s – da non escludere a priori ma in realtà poco compatibile con le condizioni politiche e con la probabile agenda delle prossime settimane. Le condizioni politiche vedono destra leghista e M5s assolutamente determinate a governare: e io credo che troveranno il modo di farlo. Così come è ormai chiaro, per fortuna, che il Pd è compatto sulla linea di una opposizione seria e orientata a preparare le condizioni per il recupero di consensi”. Un’opposizione non identitaria né demonizzante, dice Romano, “ma concentrata a preparare le condizioni programmatiche e culturali per il governo di domani. Relativamente all’agenda: un governo di scopo non potrebbe essere che un governo di tutti, assolutamente tutti, e dovrebbe essere spinto da una pressione esterna sull’Italia e da una disponibilità di Lega e M5s a rinunciare all’occasione della vita. Entrambe queste condizioni mancano. Per cui credo che l’esito più probabile sia – dopo alcuni mesi di lavorío – un governo destra più pezzi della palude M5s”.

 

Aggiunge Catiuscia Marini, governatrice dell’Umbria: “Secondo me ora non dobbiamo in nessun modo fare sponde. Sfidare i vincitori sulla responsabilità di governare. Se non riescono, aspettiamo cosa il Colle propone. Governo istituzionale? Governo di tutti? Governo tecnico? Ma i cosiddetti vincitori lo sostengono? Vedremo, troppo presto”. Anche Andrea Orlando, piuttosto agguerrito in Direzione, dove ha chiesto le dimissioni di tutta la segreteria, dice, come gli altri, no a un governo con Lega o Cinque stelle. “Se noi facessimo un governo coi M5s o con la destra tradiremmo gli impegni elettorali che abbiamo assunto”. Però aggiunge una frase significativa: “Attenzione ad evitare un Aventino istituzionale, noi abbiamo il dovere di far entrare tutte le forze che sono uscite dalle urne nel gioco democratico e dobbiamo costruire un assetto di garanzia dei livelli istituzionali”. Tradotto significa: un governo deve pur nascere, se le forze non si mettono d’accordo allora il senso di responsabilità – per citare Mattarella – deve prevalere sugli interessi di partito.

 

Lo dice anche Sergio Chiamparino, presidente della Regione Piemonte, che chiede un referendum tra gli iscritti del Pd come ha fatto l’Spd in Germania. “Ok un’opposizione responsabile ma non si faccia un Aventino. Chiedo però che ci sia l’impegno a fare come l’Spd, ovvero il passaggio politico impegnativo delle prossime fasi passi da un referendum vincolante che coinvolga i militanti e gli iscritti del partito”. Il che, par di capire, significa anche interpellarli sulle alleanze di governo. Proprio come ha fatto l’Spd. Intanto però fa fede il voto della Direzione. Nel documento approvato con 7 astenuti (appartenenti alla componente di Michele Emiliano) il Pd “riconosce l’esito negativo del voto, garantisce il pieno rispetto delle scelte espresse dai cittadini e al Presidente della Repubblica il proprio apporto nell’interesse generale. Il Pd si impegnerà dall’opposizione, come forza di minoranza parlamentare, riconoscendo che ora spetta alle forze vincitrici l’onore e l’onere di governare il paese”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.