Dormire, votare

Umberto Silva

“Mi dica, Professore, lei vota? Sa, io mi faccio schifo”. E allora vincerà, ragazzo mio, si fidi

L’entrata del giovanotto nel mio studio è spavalda e insieme insicura. Si guarda attorno, allunga il collo, scruta, annusa, il suo corpo è esile ma teso, le gambe vanno per conto loro; si accorge di essere guardato e sorride. Colpisce. Colpisce la luce che ferisce il suo volto, la sua bruttezza è di quelle che affascinano. La segretaria lo guarda un tantino severa, lui si mette sull’attenti, una mano gli sfugge in una lieve carezza, poi parte a razzo verso il mio studio… imbroccando un bagno, dal quale esce a mo’ di anatra, ridente e stupito, di nuovo ammiccando alla segretaria, “vado, vado”.

 

E’ nel mio studio, sdraiato sulla chaise longue. Rimane in silenzio, un tempo infinito. Lo sguardo al cielo, cerca un’ispirazione divina. Alza l’angolo sinistro della bocca, il ghigno beffardo tradito da uno sguardo ebete, e viceversa. Riesce a fare una cosa e il suo contrario allo stesso momento. Dice cose poco udibili che m’incuriosiscono: nascondono qualcosa, qualcosa che attrae proprio perché nascosto, come gli antichi tesori aztechi. Infine sospira. “Potrei dirle che tutto mi fa schifo, persino lei di cui ho letto molte cose. Dopo un po’ ha cominciato a farmi schifo, e mi perdoni”. “Non c’è niente da perdonare, caro ragazzo, non la perdono affatto”. “Io vado oltre, se mi permette, ma dove vado me lo dirà lei, Professore. Non perdono le elezioni, le trovo spaventose. Mi dica la verità, io faccio schifo come loro, le elezioni, e lei non me lo dice. Lei non parla da Professore, lei è un tipo strano, vorrei che lei dicesse qualcosa d’importante, di definitivo sulla mia esistenza e sulla sua. Sì, m’interesserebbe anche la sua, la bramo spasmodicamente”. “Ma no, ma no”. Ma sì”. “Vabbè”. “Ma che razza di parlare è il suo, Professore? Lei mi fa vergognare di esistere, e già esisto pochissimo”. “Insomma...”. “Lei vota, cosa vota, me lo dica, è un ordine”. “Cosa è vuota?”. “Che diavolo dice, Prof.? Le ho chiesto se vota, vota con la tessera, l’ha presente il bigliettino?”. “Mah. Chi pensa di votare sul bigliettino?”. Bah”. “Comunque sia...”. “Com’è?”. “Quel che è. Trovo la sua psicoanalisi…”. “Dica”. “Non saprei”. Come?”. “Una trottola”. “Lei vincerà”. “Vincerò?” “Colui che vincerà”. “Che cazzo dice, Professore?. “Mah”. “Davvero?”, “Vincerà la sua elezione”. “Io?”. “Lei , sì. Lei. Lei? Sì”. “Non si può eludere!”. In effetti… “Come trova la mia diciamo…”. “Interessante. Una rivolta di quelli là. Le elezioni intende”. “Sì, proprio proprio, le elezioni. Io penso che lei…”. “Beh, questo no…”. “Lei deve votare, anch’io, in quel senso oscuro…”. “Interessante. In un certo senso. Sa che mi sento più io”. “Insomma”. “Lei deve fregarmi se necessario”. “Chi?” “Lei deve votare! Tutti noi votiamo in un certo senso. Più sereno, più vivo”. “Ottimo”. Io sto qui e non mi muovo più.” Insomma… “Io qui respiro. In un certo senso… Mi dica una cosa, Professore”. “Certo”! “Anzi, gliela dico io”. “Meglio”. “Io non ho un soldo da darle. Lei mi dirà chissenefotte e io diventerò ancora più cattivo, me ne fotterò sempre di più, diverrò il suo pupillo, quello che farà quel che vuole, lei mi proteggerà, mai dico mai uscirò dalla gabbia in cui sarò caduto. Lei così mi avrà assassinato. Eppure non è così, sarebbe ben misera cosa, c’è dell’altro, molto altro in lei Prof., qualcosa che sento inebriarmi tutto, altro che i nostri imbroglioni, in lei c’è purezza, la sento, sembrava… invece… Professore, io guarirò, guariremo”. Come sempre al decimo minuto, ma forse anche al primo, il Professore profondamente dorme. Il giovane prega.

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