Andrea Cecconi (foto LaPresse)

Cecconi e il pauperismo in salsa grillina

David Allegranti

Il deputato uscente del M5s non ha mantenuto la promessa di restituire gli stipendi. Per questo, dopo il 4 marzo, si è impegnato a rinunciare alla sua elezione

Roma. Andrea Cecconi, deputato uscente del M5s colpito da una delle tante fatwe grilline - nello specifico l’accusa è di quelle forti: non era “in regola con le restituzioni” ed è stato deferito - annuncia che rinuncerà alla sua elezione. Idem il senatore uscente, Carlo Martelli. 

   

 

E la colpa di chi è? Non di Cecconi, naturalmente, che non ha ottemperato ai suoi obblighi di seguace della Casaleggio Associati ma di chi non si è impegnato, secondo certa deriva pauperista corrente, a tagliare le indennità per tutti i parlamentari, come spiega lo stesso deputato, che per giorni era sparito di circolazione, aveva disattivato la pagina Facebook e non rispondeva più al telefono neanche ai militanti di Pesaro, dov’è candidato. “Il ritardo - i refusi che seguono sono a carico del lettore, a opera dello stesso Cecconi su Facebook - è stato dovuto a motivi di natura personale, che penso che nessuno possa essere in grado di giudicare, e sui quali non mi dilungo. In particolar modo spero che abbiano il pudore di tacere gli esponenti dei partiti che si pappano un megstipendio, che viaggiano in autoblu, che hanno maturato il vitalizio e che si prendono anche un ricco assegno di fine mandato alla faccia della gente normale che non arriva a fine mese”. Che cosa c’entri questo con il fatto che il deputato Cecconi non rispetta le regole del Sacro Blog non è ancora del tutto chiaro. Ma andiamo avanti. “Non c'è nessuna legge che ci obbliga a dimezzarci lo stipendio. O meglio ci sarebbe stata se gente come la Morani (Alessia, deputata del Pd), che oggi parla a vanvera, avesse votato la legge che noi abbiamo proposto e che fissava lo stipendio dei parlamentari a 3.000 euro al mese. Ma tutti i parlamentari dei partiti hanno voluto tenersi il megastipendio e quindi noi (e solo noi) facciamo le restituzioni”. Cecconi dice di aver rinunciato “a 75.000 euro di rimborsi e restituito quasi 120.000 euro in questi anni, e questo nessuno può togliermelo, so però di aver fatto una mancanza nei confronti degli iscritti del MoVimento 5 Stelle, anche se la mia coscienza è pulitissima perchè ho restituito fino all'ultimo centesimo come promesso. I probiviri decideranno sul procedimento disciplinare nei miei confronti e sulla sanzione da comminare. Sono sereno e accetterò ciò che stabiliranno”. Da qui la decisione finale: “In ogni caso vi comunico che ho già deciso di rinunciare alla mia elezione. Il 4 marzo cederò il passo e andranno avanti gli altri candidati che trovate nel listino. Continuerò a fare campagna per il MoVimento e per i candidati del mio collegio. Lo sento come un dovere nei confronti di chi mi ha dato fiducia alle parlamentarie. La mia, seppur piccola, è una mancanza e voglio dare l'esempio a tutti i candidati, non solo del MoVimento, ma anche dei partiti”. Insomma, “noi del MoVimento siamo così. Se facciamo una cazzata togliamo il disturbo e vanno avanti gli altri. Buona campagna a tutti”.

 

Poi naturalmente vedremo se Cecconi tornerà davvero al suo mestiere di infermiere, una volta eletto. Intanto si fa notare il pauperismo grillino e gentista, secondo cui è essenziale fare politica per quattro soldi, anche se in questo modo si aprono le porte al notabilato, a quelli che possono far politica perché già ricchi e quindi se lo possono permettere. Il risultato è che la legittimità della politica viene trasferita altrove, ad altri organismi, in un orizzonte post-democratico nel quale la sfera economico-finanziaria è prevalente su quella dei governi, per dirla con il politologo Colin Crouch, autore di Postdemocrazia (Laterza): “Nelle condizioni in cui la postdemocrazia cede sempre maggior potere alle lobby economiche, è scarsa la speranza di dare priorità a forti politiche egualitarie che mirino alla redistribuzione del potere e della ricchezza o che mettano limiti agli interessi più potenti”. Allevare una classe dirigente forgiata dal pauperismo non scaccerà chi vede nella politica un modo per arricchirsi, ma anzi aprirà le porte proprio a quei famigerati “poteri forti” – con cui i populisti fanno gargarismi mattutini – ben felici di prendere il posto delle élite. Ma ai Cinque stelle non importa. La loro è solo decrescita infelice: infelice uno, infelici tutti. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.