Matteo Renzi (foto LaPresse)

Jobs Act, atto II

Luciano Capone

Il salario minimo può potenziare la contrattazione aziendale (con alcune cautele). Parla Pietro Garibaldi

Roma. Tra le tante promesse elettorali più o meno sensate e realizzabili – reddito di cittadinanza, cancellazione della riforma Fornero, flat tax, abolizione delle tasse universitarie – il Pd ha lanciato l’idea di un salario minimo. “Il punto è come migliorare la qualità del lavoro, oltre che la quantità – ha detto il segretario Matteo Renzi al Quotidiano nazionale – E per questo l’idea del salario minimo legale, che proponiamo tra i 9 e i 10 euro l’ora, è molto importante”. La proposta era stata anticipata una settimana fa ad Avvenire dal responsabile economico del Pd Tommaso Nannicini. “E’ il momento di introdurre un salario minimo legale che abbracci tutti i lavoratori – ha scritto sul quotidiano della Cei – all’interno di una nuova cornice per il nostro sistema di relazioni industriali, che combatta i contratti-pirata e tuteli la funzione di garanzia del contratto nazionale”. Dopo l’uscita del suo segretario, che ha posto il salario minimo legale a un livello abbastanza alto per gli stipendi italiani, Nannicini ha precisato che in ogni caso il livello del “salario minimo lo fisserà una commissione indipendente”.

 

Rispetto ad altre uscite un po’ estemporanee e che sono sembrate in contraddizione con le riforme fatte – vedi il caso della fiscalizzazione del canone dopo che era stato inserito in bolletta – il salario minimo rientrerebbe nel sentiero delle riforme del lavoro finora approvate. “Nel Jobs Act era stato menzionato, era un obiettivo del governo ma poi è stato escluso dai decreti attuativi. In questo senso l’inserimento del salario minimo servirebbe a completare il Jobs Act”, dice al Foglio Pietro Garibaldi, economista dell’Università di Torino, esperto di mercato del lavoro e autore con Tito Boeri di un libro “Un nuovo contratto per tutti” che quasi dieci anni fa ha fatto da apristrada alle riforme del Pd. “Il Jobs Act contiene l’idea di combattere la precarietà con le tutele crescenti, ma una delle gambe era il tema della precarietà salariale, quella di chi è fuori dal rapporto di lavoro dipendente e che non solo non ha altre forme di tutela come la malattia e le pensioni, ma non ha neppure alcuna tutela retributiva”. A questo servirebbe il salario minimo? “Indica la soglia minima di retribuzione di un’ora di lavoro, indipendentemente dal tipo di contratto. Tutela tutti perché vieta di pagare di meno un’ora di lavoro di qualsiasi forma, si applica per capirci anche al lavoratore che consegna il cibo in bici, che è diventato il simbolo della precarietà”. Quindi serve solo per quelli che non rientrano nella contrattazione collettiva? “Non bisogna dimenticare che esistono tanti lavoratori fuori dalla contrattazione, ma l’altro effetto macroeconomico che avrebbe una riforma del genere è quello di facilitare il decentramento della contrattazione – spiega Garibaldi – Una volta stabiliti standard minimi come esistono in tutti i paesi sviluppati, a quel punto è meno necessario avere un contratto nazionale”. E’ anche per questo che il salario minimo non è ben visto dai sindacati? “C’è il timore di perdere influenza, dicono che se ne occupano loro con la contrattazione, ma è pieno di lavori non coperti. E’ paradossale che un’opposizione del genere arrivi dai sindacati”. Perché sarebbe auspicabile favorire la contrattazione aziendale o decentrata? “Legherebbe le retribuzioni alla produttività facilitando la ricollocazione del lavoro, una cosa che avviene in maniera troppo lenta in un paese con ampie differenze territoriali e di settore come il nostro”.

 

A proposito di differenze territoriali, non è rischioso un salario minimo uguale per tutto il paese? “Ci vuole cautela a fissare il livello del salario minimo –  dice Garibaldi –, siamo un paese molto diverso ed è difficile trovare un salario buono da Milano a Caltanissetta”. Cosa si rischia? “Dove è troppo basso è inutile, dove invece è troppo elevato è dannoso. Qui si rischia uno spiazzamento, con le imprese che applicherebbero forme di sommerso per aggirarlo oppure che non investirebbero nei territori più poveri. ma le diversità territoriali esistono anche in Germania dove c’è un salario minimo”. Non potrebbe essere fissato a livello regionale? “Sarebbe difficile. I sindacati sono preoccupatissimi, ogni volta che si parla di differenziazioni salariali tornano in mente le gabbie salariali”. Come si fissa quindi il salario minimo? “Negli altri paesi è una commissione tecnica che dà un’indicazione al Parlamento. Un parametro usato è il rapporto tra salario minimo e salario mediano”. Quanto? “Non devono essere troppo vicini, il salario minimo dovrebbe essere tra il 40 e il 60 per cento del salario mediano”. Quindi i 9-10 euro l’ora proposti da Renzi sono alti? “Quando queste cifre vengono diffuse nelle interviste vanno prese per quelle che sono, ma indubbiamente 9-10 euro netti l’ora mi pare che sia troppo elevato”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali