Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

L'argine del populismo buono

Claudio Cerasa

Dopo la Germania, noi. L’Europa anti Cav. scopre che le speranze di evitare un becero governo populista passano anche da Berlusconi. Cos’è il populismo buono (da Renzi al Cav.) e perché all’Economist servirebbe una copertina riparatrice

Una volta archiviata la pratica delle elezioni tedesche e una volta compreso che comunque la si voglia girare anche in Germania le forze anti sistema hanno perso le elezioni, nelle prossime settimane gli occhi degli osservatori di tutto il mondo andranno a curiosare tra gli appuntamenti del calendario elettorale. E quando i giornalisti stranieri, gli editorialisti internazionali, gli analisti finanziari scopriranno che la data politica più importante, dopo la Germania, è quella che riguarda l’Italia in molti saranno colti da una folgorazione inattesa, da un amore imprevisto, da un’infatuazione inaspettata che riguarda un nome che nel giro di pochi anni è passato dall’essere “unfit to lead Italy” a “fit to save Italy”. Ci si può girare attorno quanto si vuole e ci si può ironizzare quanto si crede, ma a poche settimane dalle elezioni siciliane, e a pochi mesi dalle elezioni politiche, è ormai chiaro in tutta Europa che le speranze di non avere in Italia un governo populista non passano solo da Matteo Renzi ma passano anche da Silvio Berlusconi.


Per tutti coloro che hanno passato una vita a cercare analogie tra il profilo del Cav. e quello del Caimano sarà difficile ammettere che il capo di Forza Italia, nonostante Cesano Boscone, nonostante la decadenza dal Senato, nonostante la sua ineleggibilità, va considerato fatalmente per quello che è: non il simbolo di populismo rozzo e becero ma un argine vero a questa forma di populismo. Nell’attesa di un qualche articolo che sulla stampa straniera renda giustizia all’ex presidente del Consiglio (arriverà?) la nuova percezione del Cav. (e la consapevolezza per esempio che senza Berlusconi la Sicilia potrebbe andare davvero a Grillo) ci permette di tematizzare già da subito una questione sulla quale vale la pena riflettere e che in un certo modo riguarda anche il segretario del Pd. Potremmo metterla così: ma come può un populista essere un argine al populismo? La questione ovviamente non vi sfuggirà. Per ragioni diverse, Berlusconi e Renzi sono due alternative naturali allo sciocchezzaio sovranista ma entrambi, in una certa misura, incarnano una leadership che ha alcune caratteristiche tipiche dei leader populisti. Essere delle alternative al populismo becero senza essere populisti è ovviamente possibile, come ci dimostra Angela Merkel e come ci dimostra anche Emmanuel Macron, ma il caso italiano dimostra che è possibile essere delle alternative al populismo triviale pur giocando con lo stile dei populisti.

  

Si dirà: d’accordo, ma come si può distinguere un populista dall’altro? In questo senso, le parabole di Renzi e Berlusconi sono diverse ma hanno un evidente punto in comune: sono la dimostrazione che a certe condizioni può esistere un populismo buono. Nel caso di Renzi, il populismo buono è una formula algebrica complicata che prevede l’uso della demagogia come un taxi: utile cioè a raggiungere fini non demagogici. In alcuni casi la formula funziona bene, come è stato nel 2014 quando la tosta riforma del lavoro fu fatta pochi mesi dopo l’introduzione degli ottanta euro. In altri casi la formula funziona meno e a volte il tentativo di sottrarre consensi ai populisti si trasforma in un piccolo regalo agli avversari populisti – vedi il caso della mossa sui vitalizi. Il populismo buono si distingue dal populismo cattivo perché è un mezzo a volte spregiudicato per raggiungere un fine che può essere nobile e prelibato (la differenza tra i populisti buoni e i populisti cattivi è che i primi, quando arrivano al governo, possono permettersi di non essere demagogici, mentre i secondi, se arrivano al governo, non possono permettersi di non essere demagogici, vedi il caso della Catalogna) e vista sotto questa prospettiva si può tentare di capire meglio anche la ragione per cui Berlusconi, pur essendo a suo modo un populista, è un argine al populismo non da oggi ma dal 1994. Lo è oggi perché una sconfitta di Beppe Grillo passa anche da un buon risultato di Forza Italia (oltre che del Pd). Ma lo è oggi anche per altre ragioni che riguardano una caratteristica particolare della presenza in campo di Berlusconi.

 

Da un certo punto di vista è evidente che c’è un qualcosa di pazzotico nell’immaginare un Berlusconi che si ispira al modello Ppe – e al modello Merkel – alleato in campagna elettorale con un Salvini che si ispira al modello anti Merkel di Le Pen e al modello anti anti Merkel dell’Afd. Da un altro punto di vista c’è però anche qualcosa di eroico – e fortemente anti populista – nella scelta del Cav. di allearsi da anni con alcuni leader populisti. E anche coloro che amano poco Berlusconi potranno facilmente notare che la presenza del Cav. è da sempre un argine contro ogni deriva populista dei suoi alleati. E’ stato così con lo spirito nazionalista di An. E’ stato cosi con l’istinto secessionista di Bossi. Potrebbe essere così oggi anche con le pulsioni anti euro di Salvini (e se in campagna elettorale si parla meno di referendum sull’Euro è grazie alla mossa populista e ovviamente irrealizzabile della doppia moneta). L’alternativa al populismo non è detto che sia un’altra forma di populismo ma in Italia il populismo buono esiste e lotta insieme a noi. E se l’Economist avesse un po’ di senso dell’umorismo, prima delle prossime elezioni siciliane dovrebbe dedicare una copertina riparatoria al Cav. per spiegare un concetto semplice: “Why Silvio Berlusconi is fit to save Italy”.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.