Paolo Romani (foto LaPresse)

Paolo Romani ci racconta come si fa lo "stabilizzatore" al Senato

David Allegranti

“Arrivare alla conclusione naturale della legislatura è stata una scelta giusta, abbiamo una legge elettorale efficace e omogenea e una coalizione di centrodestra in grande salute"

Roma. Paolo Romani, presidente dei senatori di Forza Italia e campione nazarenico – nel senso del defunto patto del Nazareno – durante questa legislatura appena conclusa è stato, parole sue, “uno stabilizzatore”. In più occasioni avrebbe potuto assestare qualche colpo letale alla maggioranza di governo, specie quando non esisteva più il celebre patto, ma non l’ha fatto.

 

“Non nego di aver creduto fino in fondo all’accordo del Nazareno – dice al Foglio – e alla possibilità, nell’interesse del paese, di una riforma costituzionale. Da quando però il patto si è dissolto, il nostro problema era creare da un lato una forte coalizione di centrodestra, che si potesse presentare con ragionevoli possibilità di vittoria, dall’altro lato arrivare alla competizione con una legge elettorale che avesse senso”. Il risultato, dice Romani, è visibile a tutti, anche a quelli che nel centrodestra hanno visto questo comportamento come un “inciucio”. “Ma l’inciucio porta in brutti posti, qui abbiamo ottenuto risultati positivi. E poi io non ho mai inciuciato. Ho fatto semmai accordi in maniera trasparente”. Sulla legge elettorale per esempio”. Spesso, dice Romani, “mi hanno chiesto di questo ruolo attivo di stabilizzazione al Senato. Io non lo rinnego. Non avevo interesse a far precipitare la situazione e a far chiudere la legislatura in anticipo, con una legge elettorale scombinata, come era il doppio consultellum, e con una coalizione tutta da costruire”. Dunque. D’altronde, in politica i tempi sono fondamentali. E oggi Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e questo nuovo gruppo liberal-popolare arrivano insieme al 40 per cento. Siamo vicinissimi dunque alla soglia del 43 per cento, che è la base per poter vincere in moltissimi collegi all’uninominale e, con la parte proporzionale, arrivare alla fatidica quota di 316 seggi per governare”.

 

Da un lato Forza Italia al Senato ha agito come elemento di “stabilizzazione, dall’altro lato però abbiamo dimostrato di avere capacità di interdizione e di essere parte attiva quando non eravamo d’accordo. Tutto, sempre, nell’interesse del paese. Quando per esempio alla Camera fu votato un documento stilato dal governo che autorizzava solo la missione militare in Libia, noi al Senato abbiamo specificato meglio tutta una serie di impegni che poi sono stati presi dalla maggioranza. Così come in commissione Difesa abbiamo vincolato il governo a impegni che poi lo hanno portato ad agire con determinazione sulle Ong. Abbiamo usato la forza di interdizione per evitare l’approvazione dello ius soli ma ab biamo anche collaborato per fare in modo che, nell’interesse strategico del paese, l’immigrazione clandestina venisse fermata, restituendo così al governo italiano un ruolo da protagonista. Qualcuno si è chiesto se questo processo di stabilizzazione fosse in contraddizione con la coalizione, io però guardo ai risultati. Lo ius soli non è passato, abbiamo la legge elettorale che volevamo noi – un mix corretto per dare un giusto coefficiente di premialità pur mantenendo un impianto sostanzialmente proporzionale – e sono stati raggiunti importanti risultati per il paese, conseguiti da un governo di sinistra che però ha attuato una politica di destra”. Romani specifica di non aver aiutato in quanto tale il governo Gentiloni, ma di aver agito “nell’interesse del popolo italiano”.

 

Come quando ha contribuito a far passare il decreto della ministra Lorenzin sui vaccini. “Ho dato una mano perché il provvedimento passasse. Il governo era in grandissima difficoltà e io mi sono convinto, molto laicamente, dopo aver incontrato una delegazione dei mille No vax che protestavano sotto il Senato e che non vaccinano i loro figli neanche contro la polio, della bontà dell’obbligatorietà. Senza di noi, il provvedimento non sarebbe passato. La Lorenzin lo sa e mi ha anche ringraziato”. Romani ha con l’omologo del Pd Luigi Zanda una special relationship. “C’è una simpatia e una stima reciproca, fra persone perbene ci si intende e non si confondono i ruoli”. Ecco, ma se Romani dovesse optare fra Luigi Di Maio e Paolo Gentiloni che cosa sceglierebbe? “Non c’è partita: Gentiloni. Fra l’avventurismo grillino e la responsabilità, seppur nelle differenze, di Gentiloni, non avrei motivo di fare una scelta diversa. Con lui poi ho un rapporto personale, fatto di 20 anni di battaglie nel settore comunicazione. Anche se nella legislatura 2006-2008 in parlamento contrastai duramente Gentiloni, allora ministro del governo Prodi, per la legge sulla televisione”. E i 5 Stelle Romani come li vede? Hanno molti voti, nonostante i “brillanti” risultati di amministrazioni come Roma. La crisi dei media è fra le cause. “Nel 2000 i giornali italiani vendevano 6 milioni di copie, oggi 3 milioni e l’attenzione alla cattiva amministrazione è venuta meno. Colpa anche dei talk show, che danno spazio alle piazze dell’insulto”. Vale anche per i talk di Mediaset? “Non li guardo da molti anni... Ogni tanto ne sento parlare”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.