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Chi paga il suicidio del 4 dicembre

Claudio Cerasa

Gli inconfessabili tabù di una democrazia non decidente che festeggia i 70 anni della Carta senza avere il coraggio di denunciare chi affossa il paese a colpi di veti. Perché il dramma italiano non è la stabilità economica ma è l’instabilità politica

Il primo gennaio del 2018 la nostra Costituzione compirà settant’anni e le celebrazioni relative alla bellezza della nostra Carta cadranno in un anno particolare, in un anno elettorale, durante il quale sarà forse chiaro a tutti il suicidio politico che ha scelto volontariamente l’Italia il 4 dicembre del 2016, decidendo di non riformare la Costituzione-più-bella-del-mondo e accettando di condannare l’Italia a una lunga fase di transizione in cui la debolezza – che ci siamo autoinflitti – del nostro sistema istituzionale è destinata a diventare il vero male oscuro dell’Italia: l’unico vero elemento di instabilità di un paese che, politica a parte, finalmente gode di buona salute.

 

I settant’anni della Costituzione saranno accompagnati da molti coriandoli, da molte celebrazioni e da molte fanfare, ma più ci si avvicinerà alla data del 4 marzo più sarà chiaro che il sistema istituzionale che oggi governa l’Italia non è più adeguato ad affrontare le quattro grandi sfide con cui ogni democrazia moderna deve fare i conti: governare la frammentazione senza farsi governare dalla frammentazione; dominare i professionisti dei veti senza farsi dominare dai campioni dei veti; evitare che il principio della rappresentanza abbia sempre un valore superiore al principio della decisione; avere dei governi sufficientemente forti da poter contare non solo a livello europeo ma anche a livello regionale, dove più passerà il tempo senza avere una democrazia pienamente decidente e più il nostro paese rischierà di essere ostaggio di nuove e vecchie pulsioni autonomiste.

 

Siamo pronti a sorridere di gusto quando ascolteremo grandi discorsi sulla bellezza della nostra Carta da parte di quegli stessi politici che si candidano a guidare il paese sulla base di un progetto costituzionalmente eversivo che punta a sostituire la democrazia rappresentativa con una forma molto affascinante di democrazia diretta guidata da un’azienda privata non eletta da nessuno. Ma rideremo meno quando il 4 marzo ci renderemo conto che chi ha affossato il 4 dicembre Renzi ha contribuito in realtà ad affossare l’Italia e a renderla istituzionalmente ridicola di fronte ai grandi paesi d’Europa. Ci sarà un governo che forse nascerà o forse no e che comunque andranno le cose difficilmente sarà in grado di ricordare ai nostri interlocutori stranieri che l’Italia è uno stato dove la politica tende a essere non un solido elemento di stabilità ma un clamoroso elemento di instabilità.

 

E così, anche alle prossime elezioni, il paragone tra l’Italia e gli altri grandi paesi d’Europa, che nel frattempo si stanno un po’ italianizzando, sarà impietoso. Tra il 1996 e il 2018 la Spagna ha avuto tre uomini alla guida del paese, la Gran Bretagna ne ha avuti cinque, la Francia quattro, la Germania tre, l’Italia nove (Dini, Prodi, D’Alema, Amato, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni). In altre parole, il suicido del 4 dicembre è stato quello di aver creato le condizioni per difendere un sistema imperniato sulla non decisione, sulla giurisdizionalizzazione di ogni conflitto, sulla repubblica dei Tar, sul potere di estorsione dei cacicchi locali e sull’instabilità che diventa un fattore rassicurante per tutte quelle forze politiche, e non politiche, che sanno di poter avere un’influenza sui governi solo a condizione di avere governi deboli e dunque influenzabili e dunque ricattabili.

 

Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo, dice bene, lo ha detto ieri in un’intervista al Corriere della Sera, che la prossima legislatura ha il dovere di essere costituente, perché la Costituzione italiana è bella, è forte, è solida e rodata ma nella sua seconda parte presenta diversi elementi di fragilità che senza essere rivisti non daranno mai all’Italia la possibilità di essere una democrazia pienamente funzionante. Bisognerebbe avere il coraggio di dire le cose come stanno. Di raccontare nel dettaglio la follia del 4 dicembre. Di spiegare che l’assenza di una legge elettorale capace di assegnare a qualcuno una vittoria è il frutto non di un Parlamento che non sa fare le leggi ma di una classe dirigente incapace di spiegare agli elettori che il 4 dicembre non è stato affondato solo Renzi ma un’idea per rendere l’Italia un paese più forte. Dopo la batosta di un anno fa non è facile affrontare il tema ma se ci fosse davvero un partito progressista ambizioso e desideroso di ridare un sogno ai suoi elettori dovrebbe avere il coraggio di ripartire da qui: non siamo riusciti a trasformare l’Italia in un paese più simile alla Francia ma il nostro compito oggi non è arrenderci, è semplicemente riprovarci.

 

Per festeggiare i settant’anni della Costituzione non ci sarebbe battaglia più giusta da fare che ripartire da qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.