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In marcia contro l'Italia che dice no

Claudio Cerasa

Tap, Ilva, futuro. Perché mobilitarsi contro la politica degli irresponsabili

Se in Italia ci fosse una classe dirigente pienamente consapevole dell’importanza della sua funzione, dovrebbe smetterla di occuparsi di fesserie, di vitalizi, di doppie monete, di dentiere per gli anziani, di polemiche sulle banche, di nazistelli in gita a Como e aprire gli occhi di fronte a quello che sta succedendo in una delle regioni più belle d’Italia, la Puglia, dove il peggio della tradizione politica italiana si sta saldando attorno a un soggetto che in un paese normale, più che un nemico da mettere in fuga, dovrebbe essere un amico da accogliere a braccia aperte: la cultura d’impresa.

 

Se in Italia ci fosse una classe dirigente pienamente consapevole dell’importanza della sua funzione dovrebbe smetterla di occuparsi del nulla e organizzare una grande mobilitazione nazionale, una nuova e riformista marcia dei 40 mila (en marche!) sullo stile di quella organizzata nel 1980 dagli impiegati e dai quadri della Fiat contro i picchettaggi che impedivano loro di entrare in fabbrica da 35 giorni, per mettere a nudo, senza veli, ipocrisie, finta neutralità l’orrenda Italia specializzata nel dire solo una parola: no.

 

Da qualche settimana a questa parte, in Puglia, per chi si fosse perso qualche passaggio, attorno alla costruzione di un tubo di un metro e mezzo interrato a ottocento metri dalla costa a una profondità di sedici metri per portare il gas dall’Azerbaigian all’Italia per diversificare l’approvvigionamento del continente dal gas russo (il Tap) e attorno al salvataggio industriale della più grande acciaieria d’Europa sulla quale un gigante mondiale e privato di nome Mittal ha vinto una gara pubblica per investire 5,3 miliardi di euro per il rilancio di un’azienda (Ilva) la cui produzione vale circa un punto di pil nazionale e 7 punti di pil regionale si è andato a saldare un fronte politico trasversale che, triangolando con il peggio della cultura giustizialista, ambientalista, girotondina, assistenzialista e anti produttiva del nostro paese, ha scelto di sabotare ogni tentativo di imporre sulla scena pubblica un’alternativa al modello della decrescita felice. In questo contesto, dove il ministro Calenda sembra essere uno dei pochi disposti a portare fino in fondo la battaglia contro lo sfascismo anti industriale, i principali portavoce dell’Italia che dice no sono il governatore della Puglia Michele Emiliano, il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci e lo scrittore Erri De Luca.

 

I primi due, desiderosi di azionare l’Ilva con il gas quando nessuna fabbrica al mondo delle dimensioni dell’Ilva riesce ad andare a gas salvo poi dire naturalmente no a ogni tubo capace di portare gas in Italia, hanno presentato un ricorso al Tar contro il decreto con cui qualche settimana fa il governo ha aggiornato il piano ambientale dell’Ilva di Taranto (Emiliano ricorre su tutto, buona scuola, vaccini, Tap, finora sempre sconfitto e finora sempre senza curarsi delle conseguenze), senza rendersi conto che l’accoglimento del ricorso avrà come effetto immediato la fuga dei privati dall’Ilva (in ballo ci sono 10 mila posti di lavoro).

 

Il terzo, considerando la realizzazione di un tubo di un metro e mezzo per far passare del gas grave come l’idea di collegare con treni ad alta velocità Torino e Lione, per opporsi al Tap pugliese ha suggerito una soluzione già proposta mesi fa per combattere la Tav: “La Tap è una prepotenza pubblica e di fronte all’unanimità della popolazione che si oppone io credo che la Tap vada sabotata”. Mettere lo stato nella condizione di non decidere nulla. Mettere i privati nella condizione di non avere certezza del diritto. Mettere i lavoratori nella condizione di essere sottomessi ai veti della repubblica giudiziaria. Un anno fa l’Italia che provava a dire Sì (4 dicembre) perdeva un referendum importante. Oggi l’Italia che prova a dire no ai professionisti dell’irresponsabilità ha un’occasione importante per farsi sentire (persino la Fiom ha preso le distanze dai tribuni pugliesi). Organizzare una marcia dei 40 mila non è facile ma sperare che ci siano migliaia di persone pronte a ribellarsi contro la cultura della crescita infelice è forse possibile. Noi ci siamo e ci proviamo. Scriveteci qui: [email protected].

 


 

Ecco chi ha aderito all'appello:
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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.