La politica è da tempo l'oggetto perduto della tv italiana

Giuliano Ferrara

Basta una serata davanti a un talk-show francese per capire lo stato della televisione nostrana

E’ stato come prendere l’Lsd. Come una partita tra l’Italia di Bearzot e la Germania. Mia moglie ha chiamato e le ho detto screanzato, cara scusami richiamo dopo, ora proprio non posso. In tv, France2, rigorosamente senza spot, durata due ore e mezzo, c’era Mélenchon, Jean-Luc, oratore e tribuno, capo dell’opposizione superstite a Macron, trotzkista inveterato, uomo arrogante e soave, con i denti d’acciaio, uno che ha perso, poi ha riperso nell’opposizione sociale all’articolo 18, poi ha ammesso la sconfitta, e ora riparte non sa bene per dove, forse per Caracas. Non credo in nulla di quel che dice, Bertinotti in confronto è Turati o Hayek o Kautsky, ma lo spettacolo televisivo, il talk, era semplicemente perfetto, il ritmo all’ultimo respiro, la scansione logica chiara e netta, c’era l’incalzare del giornalista, dell’esperto, della gente comune, della provocatrice inveterata, la giovane e bella figlia di Régis Debray, c’era il capo dei macroniani Castaner, un figaccio ex socialista deciso a vendere cara la pelle nel duello del pragmatista di nuovo conio con il poeta filosofo ideologo capo politico e gran comiziante dell’estrema sinistra chic, vecchia scuola, uno parecchio diverso dal dottore Grasso e dai suoi mandanti.

 

Ah, la televisione. Ho dei vaghi ricordi, quando Maria Laura Rodotà, truccata alla grande come Crudelia, ma labbra rosso fuoco, alla domanda su che cosa si augurava nel duello Prodi-Berlusconi, rispose un fatale: “Speriamo che scandisca”. E lo sventurato scandì. I nostri sono valenti, per carità. Ma non hanno il becco d’un quattrino, devono sopportare la pubblicità, passano dall’aspirapolvere al politico, sono costretti a maneggiare un immaginario d’antan, la novità è Scalfari, sempre Scalfari, è lui l’uomo degli scoop. Si vede che i loro editori non vogliono spendere, non vogliono un palcoscenico per la nazione, della nazione, nella nazione, devono riempire il grande vuoto del prime time a costi ribassati, una messa privata non pontificale. I nostri fanno quel che possono, ma c’è di mezzo la faziosità, il vittimismo, quel cazzone di successo di Crozza, la mescolanza maldestra di alto e basso. Léa Salamé, al timone, invece si muoveva come la bussola di un’astronave, impostava i temi di discussione con una impressionante e non molesta velocità, uno entra uno esce, e nessuno si sogna di intervistare un dottor Augiàs, fare un servizio su Ospedale Italia, mostrare tabelle farlocche, sondaggi del piffero, qui sembravano tutti del Censis o dell’Istat, e Mélenchon era preparato e non pedante, cattivo, molto cattivo, ma mai vittima, preferiva accanirsi con sadismo sui perdenti e concorrenti (sindacati, socialisti, comunisti), si parlava di salariati, di pensionati, di laicità, di islam, di sicurezza, di molestie sessuali, di terrorismo, i colpi bassi a ogni pié sospinto, ma nella mutua accettazione, fino a scatenamenti notevoli di ira, la collera di Jean-Luc al quale comprensibilmente si rimprovera l’amicizia con el señor Maduro, e lui s’infuria colto sul fatto, volta le spalle a una signora, ohibò.

 

Tutti scandivano la politica pura, la lotta, il conflitto delle idee e delle cose, delle proposte le più responsabili e le più bislacche, dei programmi, con grande rispetto affettato e scarsa considerazione per la lingua di legno, in un gioco sottile di intimidazioni e cortesie che faceva la gloria leggera ma sostenibile dell’émission, l’Emission politique (il titolo). La politica è l’oggetto perduto della nostra televisione da tempo, in particolare da quando un professore disinformato lento e sornione, era la viglia del 4 dicembre di un anno fa, riuscì a farsi credere di fronte a un giovane uomo di stato che voleva abolire il Senato e varare il ballottaggio, prima della proporzionale e del Cnel redivivo, la nostra realtà del momento. Qui ha vinto Macron, relativamente a sorpresa, tutto è in movimento, tutto sembra abbastanza vero, si parla di cose che succedono, si indicano riscontri con una certa precisione, perfino la lotta di classe e l’ideologia neoliberale hanno un posto d’onore nel grande spettacolo in buona lingua, la televisione offre delle gioie indicibili a noi couch-potatoes del talk politico.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.