Matteo Renzi (foto LaPresse)

Perché in realtà il Pd non pensa davvero a una legge sulle bufale online

Renzi non vuole essere additato come un “censore” e sa che non ci sarebbero i tempi tecnici per approvare il testo. Piuttosto l'obiettivo è lavorare con i partner europei per convincere i social ad essere più trasparenti

Una proposta di legge del Partito democratico, sul modello di quella vigente in Germania, per bloccare le fake news? Matteo Renzi non ci pensa affatto. Per due banalissimi motivi. “Figuriamoci, se facessimo una cosa del genere, ci accuserebbero di voler fare i censori”, è la spiegazione dello stesso segretario. Il secondo motivo è facile da intuire: anche volendo fare una cosa del genere non ci sarebbero i tempi tecnici per approvare un simile procedimento. Perciò è vero che una proposta di legge in tal senso elaborata dalla senatrice Rosanna Filippin verrà depositata a Palazzo Madama, ma non per input della segreteria del Pd che, anzi, vuole evitare che si inneschi una polemica su questo. Piuttosto il Pd, anche coordinandosi con gli altri partner europei, pensa di fare pressione sui social perché rendano trasparenti le fonti di finanziamento di alcune campagne. Quello, secondo il Partito democratico, sarebbe già un ottimo deterrente.

  

 

Ormai quasi tutti danno per scontato il fatto che si vada a votare a marzo. Matteo Renzi è uno dei più grandi sponsor del voto in tempi ravvicinati. Ma dentro Mdp la pensano in modo molto diverso. I transfughi del Partito democratico ritengono di avere bisogno di maggior tempo per prepararsi alle elezioni. Alla senatrice Loredana De Petris che gli chiedeva lumi sulla data del voto, il presidente del Senato Pietro Grasso non ha esitato a dire: “Per noi la cosa migliore sarebbe andare alle elezioni a maggio”.

 

Tutti i partiti sono in fibrillazione perché a dicembre si comincerà a ragionare di candidature. Nel Pd c’è una certa apprensione. I parlamentari fanno fatica a nasconderla. E infatti alla Leopolda non si parlava d’altro. Il segretario ha già assicurato che verranno rispettati “tutti gli equilibri interni”. Il che significa che Renzi non forzerà la mano lasciando a secco le diverse correnti del partito, siano esse di maggioranza o di minoranza. Tradotto in soldoni: Dario Franceschini e Andrea Orlando saranno accontentati, anche perché in questa fase il segretario ha più che mai bisogno di un partito unito. Ma tutti sanno che nella prossima legislatura il Pd avrà assai meno parlamentari e quindi le preoccupazioni rimangono, anche tra gli stessi renziani. In molti, non a caso, preferirebbero candidarsi non nei collegi ma nelle liste proporzionali per avere maggiori certezze.

 

Matteo Renzi ultimamente ha ripetuto più volte che non è sua intenzione fare come il presidente francese Emmanuel Macron, ossia fondare un partito in proprio: “Non l’ho fatto quando avevo il 40 per cento, figuriamoci se lo faccio adesso”. Ma questa tentazione continua a serpeggiare tra i suoi. C’è chi pensa che, soprattutto nel caso in cui le elezioni non vadano bene, piuttosto che farsi defenestrare da segretario, a Renzi convenga giocare d’anticipo la carta Macron.

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