Lapresse/Matteo Corner

Cav., ma quanto ci costi? Il programma "ribellista" di Berlusconi

Luciano Capone

A parole, vorrebbe Draghi come leader. Nei fatti, fa il contrario: via la Fornero e aumento della spesa. Disastro

Roma. Silvio Berlusconi è tornato in grande spolvero al centro della politica italiana, anche grazie al suo fiuto che gli consente ogni volta di entrare in sintonia con l’elettorato moderato. Non a caso negli ultimi periodi cita come modello il presidente della Bce Mario Draghi, una personalità stimata per la sua competenza e il suo lavoro di questi anni dalla stragrande maggioranza degli italiani. “Coinvolgere Draghi è davvero da irresponsabili – ha detto Berlusconi a proposito delle audizioni della Commissione sulle banche in una recente intervista al Qn – E’ l’uomo che con le sue politiche ha contribuito a stabilizzare l’economia italiana e probabilmente ha salvato l’euro”. Il Cavaliere ha rivendicato, anche recentemente, che è stato il suo governo a imporre la nomina di Draghi alla Bce contro la volontà dei tedeschi. Infine ha indicato l’inquilino dell’Eurotower come premier ideale di un governo di centrodestra.

   

Naturalmente Draghi proseguirà il suo mandato a Francoforte fino alla scadenza ma, pur ipotizzando un suo impegno in politica, non si sognerebbe di capeggiare una maggioranza con un programma come quello di Berlusconi. L’agenda Draghi, esposta negli anni durante i suoi discorsi pubblici, sarebbe perfetta per un centrodestra liberale e responsabile: riduzione del deficit fino al pareggio di bilancio, riduzione del debito pubblico, riforme strutturali e maggiore attenzione alla generazione che più ha pagato il prezzo della crisi, i giovani.

   

L’agenda Berlusconi si trova per ora su un binario opposto: aumento pensioni minime a 1.000 euro, cancellazione della riforma Fornero, eliminazione del bollo sulla prima auto, Flat tax, cancellazione dell’Irap e, dulcis in fundo, doppia moneta (la cosiddetta Am-lira da affiancare all’euro). E’ una politica economica di aumento della spesa pubblica e di riduzione delle tasse che farebbe schizzare il deficit ed esplodere il debito pubblico. Ma quanto costa il programma di Berlusconi? Facciamo due conti.

   

Aumento delle pensioni minime a 1.000 euro al mese. Secondo i dati dell’Inps, i pensionati con un reddito inferiore a mille euro al mese sono quasi 6,3 milioni (il 39 per cento del totale). Ma siccome molte persone percepiscono più di una pensione, il numero di assegni pensionistici compresi tra 500 e 1.000 euro sono quasi 9 milioni e quelli fino a 500 euro sono 5,8 milioni. Utilizzando l’ipotesi più conservativa, ovvero che l’incremento a mille euro al mese riguardi il reddito dei pensionati e non le singole pensioni, la spesa aggiuntiva si aggirerebbe attorno ai 20 miliardi di euro l’anno (il doppio del bonus da 80 euro di Renzi destinato a 11 milioni di persone). In passato, a questa idea, Berlusconi a volte ha affiancato la proposta di “1.000 euro al mese per le casalinghe”: in Italia secondo l’Istat le casalinghe sotto i 65 anni sono oltre i 4 milioni e il costo di quest’operazione sarebbe di svariate decine di miliardi di euro.

  

Cancellazione della riforma Fornero. Tutti i partiti dicono di voler cambiare la riforma delle pensioni, ma nessuno spiega in che modo e sopratutto con quali soldi. Dalla riforma Fornero erano attesi risparmi per circa 88 miliardi di euro in dieci anni, che si sono già ridotti del 13 per cento a causa delle sette clausole di salvaguardia a favore degli “esodati”, costate oltre 11 miliardi. Eliminare ciò che resta della più importante riforma strutturale degli ultimi anni vorrebbe dire aprire un buco da decine di miliardi di euro.

  

Abolizione del bollo sulla prima auto. Secondo i dati Nielsen il 46 per cento degli italiani possiede una sola auto. Loro non pagherebbero più il bollo, mentre lo pagherebbe l’altra metà ma solo a partire dalla seconda vettura. Considerando un aumento di passaggi di proprietà verso figli e coniugi per aggirare la tassa, il provvedimento farebbe perdere quasi tutto il gettito (circa 6 miliardi).

  

Flat tax. La tassa piatta, che sarebbe sicuramente un elemento di semplificazione del sistema tributario, se posta a un livello contenuto – come è nella sua natura – comporta un calo delle entrate. Un’aliquota al 25 per cento (quindi a un livello più alto del 15 per cento di Matteo Salvini), farebbe perdere di circa 45 miliardi di gettito. L’abolizione totale dell’Irap invece, dopo gli interventi del governo Renzi sulla componente del costo del lavoro, costerebbe altri 22 miliardi.

   

L’ultimo punto del programma, la doppia moneta, ovvero il coniglio dal cilindro che dovrebbe servire a finanziare decine e decine di miliardi di deficit pubblico, non si può fare. E lo ha detto chiaramente proprio il presidente della Bce Mario Draghi: “Nessuno stato membro può introdurre la propria valuta, la valuta dell’Eurozona è l’euro”.

  

Niente responsabilità fiscale, nessun controllo su deficit e debito, poche riforme strutturali, scarsa attenzione ai giovani e tante risorse sulle pensioni. Il programma presentato da Berlusconi, più che all’“agenda Draghi”, per adesso somiglia all’agenda dei partiti che Draghi sia augura non vadano al governo. Si può fare meglio.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali