Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Duro attacco di Di Maio al M5s: dice che i tweet non valgono nulla

David Allegranti

Al programma DiMartedì, in onda su La7, il candidato premier difende Angelo Parisi

Roma. Che volete che sia se l’aspirante assessore regionale siciliano del M5s Angelo Parisi dice “ti bruceremo vivo” al capogruppo del Pd alla Camera Ettore Rosato. D’altronde, argomenta Luigi Di Maio, è solo un tweet e, garantisce sempre Luigi Di Maio, intervistato a DiMartedì, “non sono i tweet che determinano la classe dirigente”. Sono ben altri i problemi, ben altre le questioni di cui ci si dovrebbe occupare: “Oggi (martedì, ndr) la prima notizia degli online italiani e addirittura di alcuni tg era questo tweet quando Berlusconi e Dell’Utri vengono di nuovo indagati per le stragi del ‘93”. Insomma, anni e anni di democrazia del tweet, sui quali il M5s ha costruito la propria fortuna politica, sono stati spazzati via dal vicepresidente della Camera. Gli elettori del partito di Grillo non possono che esserne delusi; negli ultimi mesi hanno assistito a pericolosi sbandamenti: il movimento che voleva far pulizia etica (e qualcuno pure etnica) si è ritrovato una soglia di tolleranza molto alta nei confronti degli indagati, che ora non puzzano più (è fogliescamente un bene, ma qui stiamo applicando il canone grillino); ha capito che governare porta a dei compromessi e che ci si sporca le mani; ha scoperto anche che la purezza ideologica va saputa mantenere intatta (citofonare Paolo Giordana).

 

Ora c’è anche qualcuno che mette in discussione la regola cardine dei Cinque Stelle sul limite dei due mandati (Max Bugani, Fabio Fucci) e poi, al culmine della disperazione grillina, arriva Di Maio a spiegare perché un tweet è solo un tweet. Come se adesso Donald Trump, teorico ma sopratutto pratico del valore performativo di una dichiarazione comunicata a milioni di follower, dicesse che dare del “pazzo” al caro leader Kim era solo un gioco, che vuoi che sia, ben altri sono i problemi dell’America. Adesso, insomma, possiamo aspettarci di tutto dai Cinque Stelle. D’altronde, prima erano contro l’Unione, poi solo contro l’euro, poi hanno detto che bisogna fare un referendum sull’euro, ma se il referendum va male si può introdurre una “moneta fiscale” di accompagnamento all’euro. Uno vale uno, ma un tweet non vale un tweet (poi c’è sempre la solita storia che Grillo vale più di tutti gli altri, ma son dettagli). Oh, non è che Di Maio adesso ci dice pure che un clic non è per sempre?

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.