Miguel Gotor con Roberto Speranza (foto LaPresse)

Un arcigno Gotor ci spiega perché non c'è dialogo con il Pd

David Allegranti

Il senatore-ideologo di Mdp: "Il voto su Rosatellum è uno strappo. Questi sono tentativi fra il patetico e l'opportunista"

Roma. Il Pd ora apre al dialogo con Mdp, cerca alleanze, lancia messaggi distensivi? “Sono tentativi tra il patetico e l’opportunista”, dice al Foglio Miguel Gotor, senatore e ideologo dei bersaniani. “Il Rosatellum e il voto del Rosatellum sono stati un macigno su questi abbozzi di dialogo. Tre-quattro giorni prima che la legge arrivasse in Aula abbiamo chiesto tre cose, attraverso Roberto Speranza. La prima, una questione di metodo: non porre la fiducia; in risposta ne hanno messe cinque. La seconda: ridurre il numero dei nominati, attraverso un aumento dei collegi uninominali. La terza: inserire il voto disgiunto. Non si trattava di costruire castelli ma di mettere due emendamenti. Ci è stato risposto picche, a tutto”. Le leggi elettorali e le relative convergenze che si realizzano tra forze politiche “configurano sempre un’idea di democrazia. Ed è su questo che si è consumato uno strappo”. Gotor respinge dunque i tentativi, “tra il patetico e l’opportunista”, del Pd. “Abbiamo posto dei punti prima del voto sulla legge elettorale, quando eravamo in tempo. La risposta di Rosato prima e di Renzi dopo è stata ‘va benissimo il dialogo però votate la legge, e con la fiducia’. Questo è un atteggiamento comico, non politico. Siamo alla commedia”. C'è poi un punto, aggiunge il senatore di Mdp: “Questo dibattito sulle alleanze senza politica, senza contenuti, non è solo controproducente, ma è assurdo. Le alleanze si costruiscono sulla base dei contenuti”.

 

E quali sono questi contenuti? “Abbiamo proposto la reintroduzione dell’articolo 18 almeno per i licenziamenti collettivi e disciplinari. Non è una roba bolscevica. Su questo, che è un contenuto, che cosa pensa il Pd? Altro esempio, la buona scuola. Dopo un anno e mezzo di applicazione, fa acqua non da tutte le parti ma da tante parti. Vogliamo intervenire per cambiarla o invece il Pd farà campagna elettorale per rivendicarla?”. Insomma, per Gotor i macigni sono almeno due: l’approvazione della legge elettorale a colpi di fiducia e il programma politico. Per questo, prima delle elezioni è difficile, secondo il senatore, che Pd e Mdp facciano qualcosa insieme. Altro discorso, casomai, dopo. “Dopo le elezioni, a partire da rapporti di forza che io auspico mutati, si può aprire un confronto con il Pd renziano sui contenuti. Intanto siamo noi a lanciare il voto utile, per cambiare i rapporti di forza ed evitare un governicchio Renzi-Berlusconi. D’altronde, io non ho mai creduto alla santa alleanza da Bersani a Verdini contro i barbari. Non esiste in natura, se ne facciano una ragione i sacerdoti del frontismo, del bene contro il male. Questa è una mentalità da guerra fredda e non basta l’appello ai barbari. Non c’è il comunismo alle porte e quello schema schmittiano dell’amico-nemico era giustificato dal contesto internazionale”.

 

Ma allora cosa vuol fare Mdp, un’alleanza fra nostalgici post comunisti e magari i Cinque stelle? Perché pensate sempre al dialogo con Di Battista o Di Maio? “Noi abbiamo il dovere di dialogare con tutte le forze che rappresentano realtà popolari vere e autentiche. La rimozione e la demonizzazione sarebbero due errori capitali per il centrosinistra, presente e futuro”. Non è questione di Di Maio o Di Battista: Gotor dice che il centrosinistra deve recuperare l’astensionismo “nel nostro elettorato, un elettorato molto critico e molto esigente. Non è un astensionismo superficiale e noi dobbiamo riconquistare quel voto per evitare che continui a scivolare verso i Cinque Stelle. Lo vede quanto siamo distanti da Di Battista, Di Maio o Di Nonno? Ciò che non funziona è semmai un Pd che in questi anni ha inseguito i Cinque stelle sull’antipolitica, vedi campagna per il referendum, la Lega sull’immigrazione (aiutiamoli a casa loro), e Forza Italia sulle politiche fiscali. E tra il Pd che insegue e l’originale, gli italiani preferiranno sempre l’originale”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.