Sergio Mattarella (foto LaPresse)

Evviva l'Italia delle alleanze innaturali

Claudio Cerasa

Il filo Pd-FI. Il bacio tra anti Merkel e sì Merkel. Il gioco tra anti Jobs Act e sì Jobs Act. L’amore tra no Le Pen e sì Le Pen. Appunti per il polemista collettivo, disorientato da un mondo spassoso e innaturale nato il 4 dicembre (forse Mattarella ci salverà)

Innaturale a chi? Nelle settimane che ci accompagneranno da qui alla fine della campagna elettorale ci sarà un tema cruciale che buona parte della classe dirigente italiana utilizzerà come una clava molesta contro tutti i partiti che in queste ore stanno tentando di approvare la nuova legge elettorale (ieri cinque voti di fiducia su cinque andati a buon fine, oggi il voto finale). La tesi è nota e suona più o meno così: la nuova legge elettorale è un’infamia della storia perché porterà il Partito democratico e Forza Italia a incontrarsi in modo vergognoso nella prossima legislatura. L’argomentazione, molto arguta, è stata messa nero su bianco da Repubblica, che con un articolo in prima pagina ha segnalato ieri alle forze politiche l’assurdità di un sistema di voto “che non offre alcuna garanzia di stabilità, non determina maggioranze certe, sembra costruito per immergere le forze politiche e le Camere nel mare dell’indistinto” e che “si presenta come un’operazione per mettere in palio una sola posta: le larghe intese”.

 

Repubblica ha ragione a segnalare il rischio di una campagna elettorale che potrebbe concludersi con una vittoria di nessuno e con una conseguente coalizione non naturale tra forze politiche in teoria distanti tra loro (per avere una piena governabilità sarebbe stato utile approvare una certa riforma costituzionale che avrebbe reso possibile l’utilizzo di una certa riforma elettorale con un certo doppio turno e un certo ballottaggio, ma il 4 dicembre Repubblica, come molti altri giornali, deve essersi distratta). Come molti altri, il quotidiano diretto da Mario Calabresi dimentica di ricordare che il vero problema di questa legge elettorale è che rende possibili le coalizioni innaturali anche prima delle elezioni e non solo dopo le elezioni. Se vogliamo dire la verità o vogliamo evitare di passeggiare tra i palazzi della politica con l’anellino al naso bisogna dire che se c’è qualcosa di poco naturale in questa campagna elettorale sono prima di tutto le coalizioni che si formeranno da qui alle prossime elezioni. Non è naturale che Renzi e Berlusconi possano trovarsi a discutere sullo stesso tavolo per mettere insieme il prossimo governo ma non è naturale neppure che Berlusconi prometta di essere l’argine al populismo alleandosi con Salvini, così come non è naturale che Renzi prometta di essere l’argine al conservatorismo di sinistra mostrando disponibilità ad allearsi con la stessa sinistra che ha reso difficile al Pd la rottamazione del conservatorismo di sinistra. Per capirci: è naturale o no che un partito che si ispira ai princìpi della signora Merkel, che sogna di portare in Italia le idee di Macron, che vede nella signora Le Pen un pericolo per la democrazia, che osserva l’ascesa della AfD come la spia di un nuovo nazionalsocialismo, che considera la globalizzazione come l’unico strumento da utilizzare per arginare il protezionismo, che reputa la Brexit un grave errore commesso dal Regno Unito, che ritiene l’euro più una risorsa da sfruttare che un problema da superare, scelga di presentarsi alle elezioni con un partito che considera i princìpi della signora Merkel il male assoluto, che sogna di portare in Italia le idee di le Pen, che vede nel signor Macron un pericolo per la democrazia, che osserva l’ascesa della AfD come la spia di un nuovo rinascimento europeo, che considera il protezionismo come l’unico strumento da utilizzare per arginare la globalizzazione, che reputa la Brexit un grande passo mosso dal Regno Unito e che ritiene l’euro più un problema da superare che una risorsa da sfruttare?

 

E dall’altra parte, per capirci ancora meglio: è naturale o no che un partito che considera il Jobs Act come il vero tratto distintivo di una sinistra moderna, che vede negli accordi di libero commercio il futuro dell’economia mondiale, che considera Macron il faro del progressismo europeo, che sogna di sostenere gli imprenditori per spingere al rialzo il mercato del lavoro, che considera lo squilibrio tra politica e magistratura come uno dei segni di un nuovo totalitarismo e che vede nel grillismo un pericolo per la democrazia dia la sua disponibilità ad allearsi a una sinistra che considera il Jobs Act come il tratto distintivo di una sinistra eversiva, che vede negli accordi di libero commercio la morte dell’economia mondiale, che considera Macron il nemico del progressismo europeo, che sogna di smetterla di sostenere gli imprenditori per spingere al rialzo il mercato del lavoro, che considera lo squilibrio tra politica e magistratura come uno degli elementi di garanzia contro il ritorno di un nuovo totalitarismo, che vede nel grillismo un alleato possibile per costruire finalmente l’Italia del cambiamento, l’Italia del domani? In realtà, quello che in modo spassoso molti commentatori fanno fatica ad ammettere è che (a) l’unica coalizione naturale, negata in modo innaturale da entrambi pur essendo ormai entrambi romanticamente (datevi un bacino) l’uno il naturale completamento dell’altro, dovrebbe essere quella che potrebbe mettere insieme i gemelli diversi del dissenso italiano, ovvero Beppe Grillo e Massimo D’Alema e che (b) l’unica legge elettorale che avrebbe creato schieramenti naturali (ovvero il modello tedesco, proporzionale puro, niente premi di maggioranza) era una legge che avrebbe reso ancora più evidente (ops) che l’unica soluzione possibile per governare sarebbe stato l’incontro tra Pd e Forza Italia. La verità che molti osservatori fanno finta di non vedere è che l’effetto della vittoria del No al referendum costituzionale non solo non ha prodotto una nuova riforma cotta e mangiata in sei mesi (D’Alema, dove sei D’Alema?) ma ha prodotto un sistema istituzionale pazzo, instabile e ingovernabile. In cui i mezzi-populisti diventano nemici del populismo (ve l’immaginate lo spasso di una campagna elettorale con Grillo, Renzi e Berlusconi, sì?). In cui le uniche forme di alleanze naturali (prima e dopo le elezioni) sono sostanzialmente alleanze non naturali (pensate a un’alleanza tra la Cdu e la AfD o tra Macron e la Le Pen). E in cui alla fine è possibile che (in modo forse non naturale) sia Renzi sia Berlusconi siano lì ad augurarsi che la loro coalizione (innaturale) non li costringa a fare la scelta più innaturale che c’è: governare con gli stessi alleati con cui si presenteranno alle elezioni (pensate davvero che il Cav. voglia governare con Salvini?).

 

Nei prossimi mesi, con ogni probabilità, ci sarà dunque ben poco di naturale nella campagna elettorale. A parte naturalmente un fatto politico importante che sarà il vero filo da seguire nei prossimi mesi e che (forse) verrà ricordato come il vero primo successo di Sergio Mattarella: la possibilità cioè che grazie all’approvazione di questa legge elettorale sia possibile sapere in anteprima quali saranno le forze sulle quali fare affidamento nel caso in cui fosse naturale dover pensare a un piano B per non far morire la prossima legislatura. E ora, se volete, rimettiamoci tutti l’anellino al naso. Smack.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.