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La sinistra, il Pd, Mdp e la profezia che si autoadempie. Parla Franco Cassano

Marianna Rizzini

La crisi della sinistra e il cortocircuito delle sue componenti: la difesa delle classi più deboli e l’orizzonte cosmopolita

Roma. La fiducia sulla legge elettorale; i Cinque stelle che chiamano la protesta di piazza per oggi alle 13; Mdp, SI e Possibile che la chiamano (ma in un’altra piazza) per le 17, e gli eventi del giorno che coprono per un attimo, senza riuscire a nascondere, la sottostante e connessa crisi della sinistra. Da poche ore, infatti, il Campo Progressista di Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, e i fuoriusciti ex Pd di Mdp, si sono incamminati lungo strade diverse, vista anche l’impossibilità di giungere a un punto comune sul tema “rapporto con Matteo Renzi”. Per Franco Cassano, deputato Pd e docente di Sociologia dei processi culturali, il punto problematico è a monte: “La crisi della sinistra non è tanto e non è ancora in Italia quanto in Europa, e affonda le sue radici in un effetto collaterale della globalizzazione, che ha contribuito alla divaricazione di due dimensioni della sinistra che di solito viaggiavano insieme: la difesa delle classi più deboli e l’orizzonte cosmopolita. Oggi, con il parallelo indebolimento dello stato un tempo capace di ‘proteggere’, le figure più svantaggiate restano indietro e tendono a invocare la protezione perduta – cosa che spiega in parte l’emergere dei populismi – mentre i più ‘forti’ o più motivati tendono a superare i confini, non temendo il mercato. Questo crea una lacerazione nel blocco sociale classico della sinistra. Lo si è visto negli Stati Uniti, in Francia e in Spagna”. E’ come se la sinistra venisse percepita compagna non dei deboli ma delle “élite globali” che non sanno ancora come rispondere in modo adeguato alle richieste che arrivano dal basso. A complicare il quadro si aggiungono, dice Cassano, “le spinte centrifughe successive al crollo dei due blocchi sovietico-americano”.

 

Cassano è entrato in Parlamento nel febbraio del 2013. Fino a quel momento, tutto era sembrato illusoriamente diverso: “Il risultato elettorale è stato uno shock. Si è scoperto che il centrosinistra non era stato in grado di intercettare del tutto tensione e malcontento sociale, e che Beppe Grillo raggiungeva il 25 per cento, in un paesaggio politico imprevisto, diviso in tre tronconi. Seguivano mesi duri: difficoltà di formare il governo, elezione tormentata del presidente della Repubblica, tentativi di agganciare i grillini, sconfitta politica di Bersani. Ci si domandava che cosa potesse aver determinato una simile risposta nell’elettorato. In parte si rispondeva: abbiamo pagato l’appoggio a Mario Monti. Ma la risposta non era esaustiva”.

 

Poi, l’ascesa di Matteo Renzi. Cassano, che alle primarie pd ha sostenuto una volta Gianni Cuperlo e una volta Andrea Orlando, dice che il percorso post 2013 racconta molto, per quanto riguarda il Pd, di una base sociale “circoscritta e limitata, una sorta di proiezione degli anni del welfare state: pensionati, anziani, dipendenti pubblici. I giovani in gran parte oggi votano Cinque stelle, gli operai hanno smesso di votare il partito tradizionale di riferimento”. Renzi è stato visto, dice Cassano, “come la figura nuova che spariglia i giochi. E quindi, lo dico appunto non avendolo votato alle primarie, è necessario capire bene a quale bisogno rispondesse il Renzi della rottamazione – parola d’ordine basata sulla dicotomia vecchio-nuovo. E chiedersi come ampliare il bacino del centrosinistra. L’opposizione interna ha mostrato molti limiti nel non volersi addentrare fino in fondo in questa riflessione”. Dall’altro lato, ci sono gli errori renziani: “Fino alle Europee”, dice Cassano, “la parola d’ordine ‘rottamazione’ ha funzionato. Poi è diventata inefficace, mostrando quelli che a mio avviso sono i due limiti del renzismo: la preminenza assoluta del leader e la difficoltà di azione di un gruppo dirigente vissuto come arrogante. C’è poi un problema di percezione. Renzi è considerato come l’usurpatore, il barbaro contro cui insorgere per riflesso identitario. Ma questo livello di discussione interna, non di qualità, ha innescato una spirale negativa, con effetto finale di profezia che si autoadempie: più consideri il Pd partito di Renzi – e per questo ne esci – più il Pd diventa partito di Renzi”. Dopo il 4 dicembre 2016, con la vittoria del “no” al referendum, si è entrati in un’altra fase. “Con la nuova legge elettorale all’orizzonte, in un quadro più ‘proporzionale’, ci si muove su un altro terreno. Il leader dovrà essere un direttore d’orchestra, come dimostra l’apertura di Renzi a Pisapia. Ma, mi chiedo, si riuscirà a lavorare per costruire un campo largo e a impostare una discussione di respiro ampio, guardando all’Europa dove il paradigma della contrapposizione destra-sinistra è nato? Si riuscirà, nel Pd che oggi compie dieci anni, a discutere nei prossimi dieci senza semplificazioni che aiutino l’insorgere dei populismi?”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.